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Vincenzo Marchi SJ: il viaggio di un gesuita missionario verso la Cina

Dettaglio della lettera inviata dal gesuita missionario in Cina Vincenzo Marchi ai genitori

Oggi ci imbarcheremo su un traghetto, al fianco di un giovane gesuita diretto in Cina come missionario. Le lettere inviate da p. Vincenzo Marchi alla famiglia e ai confratelli ci consentono di ripercorrere la strada che portava i missionari dall’Italia fino alle lontane terre di missione.

L’ 8 dicembre del 1870 p. Vincenzo prende carta, penna e calamaio e scrive ai suoi genitori, a Bologna, una lunga lettera che arriverà a destinazione solo due mesi più tardi.

La lettera di p. Vincenzo

Carissimi Genitori e carissimo fratello,

spero che abbiate ricevuto la lettera che da Marsiglia scrissi a D. Arturo e da essa avrete saputo la mia partenza da Roma. Io non so quando vi sarà occasione di inviarvi la presente; ma intanto voglio cominciarla per trattenermi con voi questo giorno consacrato alla nostra buona Madre.

Voi certo desiderate sapere la mia storia, ed io desidero raccontarvela […] per cominciare dunque ab ovo, entrati a Roma i Piemontesi, io mi unii a Mons. Dubar, Vicario Apostolico del Pechelì, e con lui in qualità di segretario e in abito d’abate francese partii di Roma. Imbarcati a Civitavecchia toccammo Tolone ove scesero a terra i Zuavi pontifici che tornavano in Francia, quindi passammo a Marsiglia accolti dai Padri della Compagnia e quivi ci trattenemmo fino al momento di rimetterci in mare.

Le difficoltà della partenza

La prima parte della lettera ci fornisce subito alcune informazioni interessanti, P. Marchi era a Roma quando lo Stato Pontificio cade, il giorno della breccia di Porta Pia, 20 settembre 1870 e si finge un abate francese per lasciare la città, forse temendo di non poterlo fare in abito da gesuita.

Viene scortato dagli zuavi pontifici che prendono il suo stesso battello, molti da lì proseguivano verso la Svizzera, per tornare a casa.

Le tappe del viaggio

Il gesuita continua a raccontare:

Passammo a Marsiglia accolti dai Padri della Compagnia, e quivi ci trattenemmo fino al momento di rimetterci in mare per la Cina. Ciò fu il 3 ottobre: montammo a bordo del Tigre uno dei più bei battelli a vapore che abbia la marina francese, lungo ben 120 metri e della forza di 500 cavalli. I passeggeri erano pochi epperò noi che eravamo cinque missionari potemmo avere un camerino per uno. […]

Lasciato il porto di Marsiglia il 4 ai 10 facemmo la prima fermata all’imboccatura del nuovo canale di Suez. Esso è lungo 160 miglia a passarlo impiegammo quasi due giorni perché bisogna navigare solo quando il sole è levato e anche allora assai lentamente. Poscia entrammo nel Mar Rosso ove provai un caldo non mai prima sentito. Il 17 gettammo l’ancora innanzi ad Aden: il 26 arrivammo all’Isola di Ceylan, scendemmo a Singapore città amenissima non ostante il caldo che vi fa essendo due soli gradi lontana dalla linea. Il sei giungemmo a Saigon nella Cocincina ove il Vescovo Mons. Miche ci volle seco a pranzo. Il 13 sacro a S. Stanislao ebbi la consolazione di vedere le prime terre della Cina che non più perdemmo di vista. In questo giorno scendemmo a Hong Kong isola cinese posseduta dagli Inglesi e dicemmo messa presso i Signori delle Missioni estere. Quivi lasciato il Tigre passammo sul Phase battello più piccolo, e sovresso il 19 novembre sabato sacro a Maria approdammo a Shang – hai.

Eccovi tutto il mio viaggio il quale è stato felicissimo […] il mare fu sempre così piano e tranquillo che quasi ogni giorno ho potuto celebrare il S. Sacrificio.

I primi giorni da missionario

Venni (a Zi-Ka-vei, un piccolo villaggio che descrive in un passaggio precedente) il terzo giorno dopo il mio arrivo, e tosto si fece la gran metamorfosi in cui da barbaro europeo fui convertito in gentil cinese. Quando mi sarà fatta la fotografia ve la manderò: tutti dicono che sto assai meglio nel mio nuovo abito che nell’Europeo, certo io non riconosco più me stesso. A compimento della trasformazione mi è stato mutato il cognome, o piuttosto al mio, col quale sono chiamato dagli Europei, me ne hanno aggiunto un altro cinese ed è l’ultima sillaba di Marchi cioè Chi (viene qui riportato l’ideogramma). Il clima qui è circa come quello d’Italia, e a ciò si aggiunge che ora abbiamo una stazione straordinariamente bella.

Per i missionari in Cina ed in Asia era indispensabile abbracciare lo stile orientale, facendo crescere la barba lunga e assottigliandola verso la punta, indossando abiti locali, per poter integrarsi, essere riconosciuti e accettati dalla popolazione locale. I religiosi inoltre studiavano la lingua locale, a partire dagli ideogrammi. Vediamo un altro passaggio in cui il gesuita descrive alcune nuove abitudini.

Usi e costumi

I costumi cinesi, per descriversi in due parole, sono perfettamente il rovescio degli europei in tutto: ma anche in ciò trovo uno speciale aiuto nel Signore, poiché tanto facilmente prendo le maniere cinesi che spesso le preferisco alle europee, e in ciò ho già superato la maggior parte dei miei compagni, e mentre essi, a cagion d’esempio, non sanno mangiare il riso che col cucchiaio, io la mangio coi bastoncini. Quanto alla tranquillità esterna qui l’abbiamo perfetta: siamo certo in medio nationis pravae (nel mezzo di una nazione pericolosa); ma nessuno ci torce un capello, e questi pagani quando ci vedono passare non provano altro effetto che di ilarità destata al vedere i nostri nasi e le nostre barbe.

Le tematiche legate alle abitudini di vita caratterizzano tutto il lungo carteggio del gesuita con i genitori ed i confratelli. In una lettera del 1873 ad esempio, p. Marchi parla di un’altra caratteristica culturale del popolo cinese:

La parola “fretta” è sconosciuta in Cina: si fa quello che si può senza affannarsi, e quello che non si può si lascia. Per gli Europei ciò è un po’ duro ma se non vi ci avvezzate peggio per voi. Ho inteso dire che la cagione per cui sono morti molti padri francesi è stata il non sapere acquistare questa calma, e che al contrario gli italiani vivono più a lungo perché son più posati, vedremo se è vero.

Forse, durante la sua vecchiaia, il gesuita avrà pensato che un fondo di verità ci sarà stato, ripensando alla sua vita: p. Vincenzo Marchi, che era nato il 24 gennaio 1839 a Massa Lombarda, dopo una lunga vita spesa nell’apostolato, è deceduto a Shangai il 3 marzo 1912, a 74 anni.