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Padre Giacomo Gardin, prigioniero in Albania

Giacomo Gardin SJ - Archivio Storico - Provincia Euro-Mediterranea della Compagnia di Gesù

La nostra rubrica oggi racconta la storia di p. Giacomo Gardin: gesuita processato in Albania nel 1945 e lì rimasto prigioniero fino al 1955.

La storia di Giacomo Gardin SJ è una di quelle che, numerose, stanno emergendo dagli archivi storici di enti religiosi all’indomani dell’apertura avvenuta il 2 marzo 2020. Testimonia la situazione dei religiosi perseguitati in nazioni come Cina, Russia e Albania all’indomani del secondo conflitto mondiale.

Le persecuzioni del regime di Enver Hoxha

Il regime di Enver Hoxha iniziò una persecuzione sistematica nei confronti di religiose e religiosi, requisendo beni ecclesiastici, profanando luoghi di culto e convertendone la destinazione d’uso. Per decenni, ad esempio, la chiesa della Compagnia di Gesù di Tirana fu utilizzata come cinema, il Collegio di Scutari fu in parte distrutto, in parte convertito in officina. Il partito del dittatore avrebbe in seguito proclamato l’Albania come unica nazione atea al mondo.

Centinaia di religiosi furono imprigionati, processati sommariamente, condannati alla detenzione in campi di prigionia, veri e propri lager, molti di loro furono uccisi.

Nel 2016 sono stati beatificati 38 tra sacerdoti, membri di congregazioni religiose e vescovi noti come i “Martiri d’Albania”, giustiziati tra 1945 e 1974. Tra questi vi furono anche alcuni gesuiti: Giovanni Fausti SJ, Gjon Pantalia SJ e Daniel Dajani SJ.

I gesuiti della Provincia Veneto – Milanese persero i contatti con tutti i confratelli in Albania. Per anni diversi padri e fratelli, membri delle comunità di Scutari e Tirana, furono riportati sul catalogo annuale con l’indicazione “dispersus” o “captivus”, nel caso in cui fosse noto l’arresto.

Per decenni le condizioni del popolo albanese non riuscirono a filtrare oltre la cortina di ferro dei confini albanesi, anche a causa della repressione portata avanti dal regime attraverso la Sigurimi, la temuta polizia che si è macchiata di spionaggio, torture e uccisione di migliaia di civili.

Solo con la morte del dittatore e la caduta del regime, alcuni anni più tardi, l’Albania ha potuto fare i conti con questa parte della sua storia, grazie alle ricerche e agli studi che hanno inaugurato filoni di ricerca sulla storia della nazione albanese durante il regime.

Anche se nel nostro archivio non si conserva la documentazione prodotta localmente, come i diari di casa o i registri del collegio di Scutari, ci sono diversi faldoni di lettere, relazioni e documenti che possono aiutare i ricercatori a far luce sulle vicende che hanno riguardato i gesuiti in Albania.

P. Giacomo Gardin

La storia di p. Gardin è particolarmente interessante perché ci aiuta ad aprire una finestra sul rilascio dei prigionieri e sulle loro condizioni grazie alla documentazione conservata in archivio.

Nato il 1905 a Prodolone, nel 1923 era entrato nel noviziato di Gorizia e durante la seconda guerra mondiale si trovava a Scutari, in Albania, dove i gesuiti avevano un collegio, alla Compagnia era inoltre affidato il locale seminario diocesano. Viveva lì già da alcuni anni, dal 1938 occupandosi dell’assistenza spirituale dei collegiali e della formazione dei seminaristi.

Nel 1945 fu arrestato dalla polizia albanese, condannato a sei anni di detenzione che poi si sarebbero protratti. Iniziano così dieci anni di lavori forzati per il gesuita. Egli prende parte alla bonifica delle zone di Korça e Kavaja, prima di passare ai campi di prigionia a Tepelena, poi Valona, Tirana e Lushnja.

Giacomo Gardin SJ - Archivio Storico - Provincia Euro-Mediterranea della Compagnia di Gesù

Alcune testimonianze della prigionia

Nel corso della sua prigionia il gesuita ha inviato alcune lettere, ai familiari ed ai confratelli. Nel fascicolo personale si conservano le copie di alcune missive. Alcune sono state utilizzate per stilare un promemoria dattiloscritto, in cui sono stati raccolti alcuni brani significativi.

Riportiamo alcuni passaggi:

“Nelle lettere dai campi di lavoro egli ci descrive, a volte in linguaggio figurato per non destar sospetti, la sua opera sacerdotale. Dal campo n. 5 di Lushnjë: «ora faccio il contadino in un’azienda di Stato: vecchio mestiere! Vango e sbarbico, poto e innesto, semino a piene mani e innaffio di sudore; a raccogliere di penserà un Altro; forse la raccolta non la vedrò: tanto sarà sicura…» […] Solo vi prego a non dimenticarmi, perché un piccolo lumicino al minimo soffio potrebbe spegnersi”

“Da nove anni in tutte le mie penose stazioni mi sono portato a spalla e senza grande fatica tutto ciò che costituisce il mio patrimonio: giaciglio, pochi indumenti, gavetta e borraccia, libro degli esercizi spirituali, Vangelo e poco pane e il cuore fisso a Chi mi sta a fianco e mi guida fin dalla mia giovinezza.”

[…] Non vorrei incrinare la bellezza di questa povertà spartana che mi ha dato il senso pratico e il gusto di quella che ho votato al Signore, coll’approfittare della vostra carità”.

Questa la risposta, ci dice il promemoria, data ad un confratello che gli chiedeva se avesse bisogno di qualcosa. Solo su insistenza dei superiori il gesuita chiede della stoffa per l’inverno ma aggiunge “Se si vedrà esagerata la mia richiesta non si faccia nulla: Chi veste i gigli del campo ho ferma fiducia che penserà anche a me.

La lettera al confratello

Scrive in una lettera a p. Viezzoli il 12 giugno 1955, non immaginando di vivere i suoi ultimi mesi di prigionia:

Carissimo Lorenzo, […] oltre al resto da tempo non scrivo stando a tavolino, dove ci sono a portata di mano carta e busta, matite che fungono da penne stilografiche, (fra parentesi, se me ne mandassi alcune, con tubetti di ricambio, faresti opera con indulgenza quasi plenaria) o meglio macchina dattilografica: ma sto seduto in un blocco di pietra e appoggio sulla mia povera cassetta. Comunque scrivo.

Di salute sto bene: il lavoro m’indurisce i muscoli e mi doma lo spirito al sacrificio, alla rassegnazione, all’umiltà, creandomi nel cuore un fondo di perenne e serena conformità alle disposizioni di Dio.

Naturalmente vorrei anch’io veder finito questo tirocinio che ormai si prolunga da dieci anni, ma gli avvenimenti umani li paragonerei ad una poderosa macchina che passa sulle generazioni, ed alcuni innalza, altri spezza, altri mette in luce, altri lascia nell’ombra. Conforta il pensiero che Dio presiede a tutto e tutto guida a bene di chi lo ama. Solo mi rammarico di non sapermi santificare quanto dovrei. Ci sono e ci saranno, come ci furono, degli operai come me che si resero grandi per l’opera delle loro mani e soprattutto per la bellezza del loro cuore.

[…] Comunque, essendo sempre sospesi, e nell’attesa che il vostro Governo appiani e migliori i rapporti con questo paese, preparando a noi un non troppo lontano ritorno in famiglia, non so neppur io che cosa chiedere che mi torni proprio utile. Due pulover di lana di colore serio sarebbero preferibili a qualunque cosa. […]

Anche a me i cinquanta son vicini a suonare, per quanto di apparenza possa sembrare giovane e nel lavoro non mi lascio vincere dai compagni più giovani. Comunque ho goduto, grazie a Dio, sempre di buona salute: il lavoro anche sotto questo aspetto mi ha portato grandi vantaggi. Salvo però a fare il bracciante a Panara, quando dovessi ritornare, poiché tutto il mio apparato scientifico e culturale è rimasto indietro di un millennio ed il macchinario mentale è così arrugginito che non c’è lubrificante che lo possa rimettere in attività.

Parlo di esteriorità, poiché il terreno base è ancora sano, discretamente coltivato, e, se non può esibire fiori rari, dà sempre qualche buon frutto da povero orticello.

Così, caro Lorenzo, un po’ sul serio e un po’ scherzando ti ho scritto quattro pagine. Ora stammi bene, salutami Dalle Nogare [un suo confratello] e gli altri amici. Pregate per me.

Altre fonti

Per ricostruire in modo completo la vicenda di p. Gardin, oltre allo studio della corrispondenza del Provinciale e del Generale, quindi sia nel nostro archivio sia in ARSI, sarebbe necessario verificare i documenti presenti negli archivi di Stato albanesi, unitamente a quelli conservati negli archivi italiani in merito alla liberazione del gesuita. Questi potrebbero testimoniare maggiori dettagli sulla sua detenzione.

Nel 1955, arriva finalmente la notizia della liberazione del gesuita.

La rivista della Provincia Veneto – Milanese ricorda le tappe del suo ritorno:

Il 25 settembre sera, alle 20.30, con il piroscafo “Acilia” inviato dal Governo italiano a Durazzo, sono giungi a Brindisi i tredici rimpatriati dall’Albania. Fra essi il p. Giacomo Gardin, dopo 10 anni di carcere e di internamento in lavori obbligatori. […] Il R. Padre Provinciale con il Padre Palladini e il nipote Padre Alfenore erano andati a incontrarlo a Bari, per proseguire poi per Roma. Domenica 2 ottobre a Milano, il Padre Gardin celebrò in S. Fedele la Santa Messa delle 11.30 […] domenica 9 ottobre poté rivedere Prodolone (Udine), accolto festosamente dai familiari e dai compaesani che seppero così lenire il dolore del mancato abbraccio della mamma, defunta un anno fa.

Le fotografie che accompagnano la puntata di oggi sono state scattate proprio in occasione del ritorno del gesuita, ritratto in automobile verso il Leone XIII. Padre Gardin appare molto magro e particolarmente provato dalla lunga prigionia. A distanza di pochi giorni dal suo ritorno dall’Albania, il 1 ottobre 1955 viene ricevuto anche dal Papa, per testimoniare la situazione del clero cattolico in terra albanese.

P. Giacomo sarebbe morto molti anni più tardi, il 4 agosto 1996 nell’infermeria della Compagnia di Gesù a Gallarate, dopo diversi decenni di apostolato tra Lonigo, Reggio Emilia, Trieste, Parma. È stato direttore spirituale dei gesuiti in carissimato, superiore sia a Reggio sia a Trieste e parroco in quest’ultima città, inoltre si è occupato dell’apostolato della Preghiera a livello diocesano.

Altri gesuiti prigionieri

P. Gardin non fu l’unico gesuita prigioniero del regime albanese, anche il confratello p. Anton Luli scontò un lunghissimo periodo di prigionia e lavori forzati fino agli anni Ottanta, in condizioni ancora più dure.

A differenza di Gardin SJ infatti, Luli SJ fu liberato molto più tardi. Era un cittadino albanese e non straniero come il suo confratello, e poté lasciare l’Albania solo negli anni Novanta, vivendo gli ultimi anni della sua vita in Italia, dove è deceduto il 9 marzo 1998. P. Gardin e p. Luli non furono gli unici a poter tornare da una lunga prigionia.

Negli stessi anche in cui p. Gardin veniva liberato, dalla Russia facevano ritorno due gesuiti prigionieri del regime sovietico: Pietro Alagiagian SJ era rientrato in Italia nel 1954, dopo ben undici anni di prigionia, Pietro Leoni SJ sarebbe rientrato un anno più tardi.

Maria Macchi