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Curiosità

P. Fernando Bortone: un gesuita missionario in Cina.

Appunti, lettere e documento di identità di Fernando Bortone, gesuita missionario in Cina nel primo Novecento - Documenti conservati presso l'Archivio Storico della Provincia Euro-Mediterranea dei gesuiti a Roma

Dei numerosi gesuiti partiti per le missioni, spesso, non si conserva molto negli archivi storici delle Province della Compagnia, poiché una volta arrivati a destinazione i gesuiti, pur comunicando con la loro Provincia di provenienza, iniziavano a produrre documentazione sul luogo che spesso restava lì. Al momento della morte, dopo esser sottoposta a scarto, entrava a far parte dell’archivio della Provincia in cui avevano servito il missionario.

Molti di loro inoltre richiedevano e “assumevano” lo status di trascritto alla Provincia di missione, quindi erano considerati a tutti gli effetti gesuiti di quella Provincia che non era tenuta più a inviare documenti o materiale del gesuita alla Provincia di provenienza.

Per alcuni particolari territori di missione è anche difficile avere accesso alla documentazione.

Per i gesuiti destinati in Cina, ad esempio, la maggior parte della documentazione è andata dispersa o è stata incamerata in seguito all’allontanamento dei religiosi dal Paese dopo il 1946. Ad oggi risulta molto difficile appurare la presenza di questo materiale documentario negli archivi di Stato locali.

Costituiscono una felice eccezione, quindi, le carte di p. Fernando Bortone, gesuita missionario i Cina tra gli anni ‘30 e ‘40 del novecento.

Nato a Fondi il 13 dicembre 1902, p. Bortone era entrato nella Compagnia di Gesù il 13 settembre 1924, era stato ordinato il 1 giugno 1935 ed aveva pronunciato gli ultimi voti il 2 febbraio 1938, è morto a Roma il 5 agosto 1982.

Fin dalla sua formazione, fu inviato in Cina nella prima metà degli anni ‘30 per studiare la lingua cinese ed in seguito restò in Cina come docente di storia e geografia nella missione, presso il collegio della Compagnia a Pengpu.

Dovette far ritorno in Italia nel 1949 a causa dell’espulsione dei religiosi da parte del governo cinese.

Nel fondo della Provincia Romana sono presenti infatti le carte personali del gesuita, rilegate in volumi, che p. Bortone riuscì a portare con sé e che testimoniano il suo lavoro di circa quindici anni in Cina.

Non è chiaro se l’operazione di rilegatura sia stata portata avanti dallo stesso gesuita o dall’archivistica che le ricevette alla sua morte. Lo stesso p. Bortone racconta che molte delle sue lettere e delle sue carte, spedite in Italia dalla Cina durante la sua attività di missionario furono raccolte e custodite dal fratello, p. Emilio Bortone, gesuita anch’egli.

Il fondo rappresenta una ricca testimonianza del lavoro del padre sul territorio cinese a partire dalla numerosa documentazione in lingua.

Non solo documenti di missione ma anche carte personali e lettere di famiglia risalenti agli anni precedenti l’ingresso in noviziato, che potrebbero far luce sulle ragioni che hanno spinto il giovane Fernando ad entrare in Compagnia e a scegliere l’apostolato missionario.

Tra i documenti si conserva il carteggio del gesuita interamente in lingua cinese con i sui corrispondenti locali e relativo alla sua attività di insegnante; ma anche le lettere inviate al fratello e al Provinciale, in Italia. Vi sono anche documenti personali come il passaporto e alcune fotografie, in foto il suo documento personale che lo identificava come “missionario”.

Sono presenti anche cartoline illustrate e disegni raffiguranti paesaggi della Cina ed elementi rappresentativi della cultura cinese.

Altri documenti ci raccontano la sua vita in Cina, lo studio della lingua ed i primi esperimenti di scrittura, la trasposizione del suo nome in cinese.

Le carte di p. Bortone sono oggi consultabili grazie alla decisione di Papa Francesco circa l’apertura alla consultazione del pontificato di Pio XII, potrebbero aprire una finestra sulla vita dei missionari in Cina, particolarmente preziosa vista la scarsità di documentazione simile, almeno negli archivi della Compagnia e la difficoltà di rintracciare quelli rimasti in Cina.

Maria Macchi