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Archivio Storico Curiosità e notizie 20 settembre 1870: l’ultimo giorno di Roma papalina
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20 settembre 1870: l’ultimo giorno di Roma papalina

Stemma della Compagnia di Gesù da cui è stato rimosso il trigramma IHS dopo la presa di Roma il 20 settembre 1870 - Archivio Storico -Gesuiti, Provincia Euro-Mediterranea

Il 20 settembre 1870 cadeva lo Stato Pontificio e, con esso, terminava il potere temporale del Papa. Come venne vissuta quella giornata dai gesuiti che abitavano le numerose residenze romane e quelle limitrofe alla città?

Entriamo oggi virtualmente in molte di queste per rivivere gli ultimi giorni dello Stato Pontificio. Anche se la presa di Roma trova spazio nelle historiae domus, sono i diari di casa a conservare informazioni più dettagliate e precise su quei giorni.

L’avvicinamento delle truppe all’Urbe

Le direttrici di avvicinamento delle truppe italiane a Roma furono tre, una dal nord, una da sud e una da est.

Purtroppo non possiamo osservare l’avvicinarsi delle truppe italiane da Orvieto, a Nord di Roma, dove la Compagnia aveva avuto un collegio, ormai chiuso dal 1860, quindi i gesuiti non vivevano più in città da dieci anni, nei giorni della presa di Roma.

Anche da est non siamo fortunati, il diario del collegio di Tivoli è lacunoso, quello della chiesa riferisce solo, a inizio 1871, che nell’anno passato a partire dal mese di settembre l’attività apostolica e religiosa fu molto limitata a causa delle “vicende politiche”.

Spostiamoci invece a qualche chilometro da Roma, a sud est, verso Frascati dove nel 1870 era attivo da pochi anni il Collegio dei Nobili presso Villa Mondragone.

L’avvicinamento delle truppe italiane, che le fonti definiscono sempre “piemontesi” non passa per Frascati, quindi i gesuiti non vi assistono direttamente, ma sono a conoscenza di molti eventi.

Il diario di casa di Villa Mondragone

Leggiamo dal diario di casa alcuni estratti sui fatti avvenuti diversi giorni prima la presa di Roma.

“Il 3 settembre venne dopo cena il principe Lancellotti per riferire che Napoleone III fosse stato fatto prigionieri dai Prussiani”.

Una nota del 6 settembre riferisce che, mentre all’interno del Collegio si teneva un saggio con distribuzione dei premi alla presenza di famiglie aristocratiche dei convittori e dell’infanta del Portogallo con la sua corte, in tutto 600 persone, alla porta d’ingresso del palazzo e davanti a quella della galleria si trovavano 2 zuavi armati, altri due accompagnavano il Cardinale. Non è chiaro se si tratti di una misura di sicurezza, vista la notizia, già diffusa, del prossimo assedio di Roma.

La situazione precipita velocemente, l’11 infatti partirono dal collegio per “motivi politici” sette convittori e inoltre “partì anche il distaccamento de’ zuavi per Roma, ritirandosi colà tutti i militi pontifici.” Più tardi, nella stessa giornata arrivò al collegio il Principe Giovanbattista Borghese, mandato dal padre per “avvisarci dello sconfinamento degli italiani”.

Il giorno dopo si riferisce che dalle 9 e tre quarti “s’intese il rimbombo del cannone da Civita Castellana che durò fino alle 10 e un quarto. Telegrammi da Roma piovvero continuamente”.

Quello stesso giorno ben diciassette convittori furono chiamati dalle proprie famiglie, per paura che la situazione precipitasse e che il collegio non fosse più un luogo sicuro.

Una nota a margine recita infatti “grandi agitazioni”.

L’abbandono del collegio, da parte dei convittori, continua per tutto il 12 ed il 13 settembre, fino alla ferale notizia del 20 settembre: “Roma è attaccata e presa. Qui in Mondragone si sta tranquillissimi”.

Due giorni dopo il redattore riferisce in merito a qualche agitazione ma non ci sono ulteriori informazioni, il diario si interrompe e riprende con il successivo anno scolastico, a novembre 1871.

Il Collegio dei Nobili di Villa Mondragone sarà l’unico a sopravvivere alla caduta dello Stato Pontificio, proseguendo le proprie attività fino al 1954 e ancora fino agli anni Settanta ospitando la scuola apostolica S. Giovanni Berchmans.

La situazione a Roma: il collegio dei Nobili

Una delle prime fonti che racconta i fatti del settembre 1870 è il diario del collegio dei Nobili, che si trovava nello stesso edificio che oggi ospita il Collegio Bellarmino, l’addetto alla compilazione del diario di casa scrisse:

“I Piemontesi sono in gran numero d’intorno a Roma, ma fin’ ora non hanno fatto nulla, però de’ nostri bravi difensori vi udirono sette minuti innanzi le otto, nelle otto e venti minuti ed alle otto e 34 tre colpi di cannone, la popolazione se ne va per le vie con una indifferenza e pace come se nulla fosse: Roma non si tocca! Si dice”.

Il giorno successivo: “Espugnazione di Roma, 100 contro quindici!! Comincia il cannoneggiamento alle 5 e un quarto a porta Salaria, Pia, S. Lorenzo; verso mezzogiorno ingresso dell’esercito italiano e dimostrazioni al solito”.

Il diario di Sant’Andrea al Quirinale

Poche centinaia di metri più in alto, vivevano novizi e gesuiti a S. Andrea al Quirinale, di fronte al palazzo dove nel giro di pochi mesi la famiglia Savoia avrebbe alloggiato occupando le stesse stanze del Papa, a sua volta sostituita a distanza di circa sette decenni, dal Presidente della Repubblica.

Molto più laconico è l’estensore del diario di casa di S. Andrea, la vita in noviziato infatti sembra scorrere tranquillamente, anche se qui e lì la succinta cronaca sembra restituire alcuni indizi di un clima teso in città.

Il 14 settembre infatti scrive che i novizi non andarono al Macao, sede delle vigne e dei campi di pertinenza del noviziato e lavorati dai novizi per il fabbisogno della comunità e oggi corrispondenti alla zona di Castro Pretorio, “per ragione dei rumori”.

Il 17 settembre si riferisce che “I Piemontesi assediano Roma. Sono andati tre dei nostri novizi, un coadiutore, due scolastici, ad assistere se mai occorresse, ai feriti”.

Il 20 settembre si riporta una piccola cronaca di quanto accaduto: “Roma è assalita. Alcuni novizi vanno per le ambulanze e ad assistere agli spedali. Le milizie piemontesi sono entrate in Roma”.

Una nota manoscritta su un foglio sciolto ci descrive cosa avviene subito dopo: “I novizi partono da Roma subito dopo la presa della città alla fine del settembre o primi di ottobre 1870, si andrò a Brixen in Tirolo dove si stette fino al principio del 1875”.

Il diario prosegue con il racconto dei mesi successivi, fino alla sua chiusura il 19 dicembre 1871, quando “la casa di noviziato cessa”, a causa della confisca operata dallo Stato.

Come abbiamo già ricordato la Provincia Romana invierà i propri novizi altrove, in parte all’estero, in Francia, in parte nel vicino noviziato della Provincia Napoletana, prima di poter nuovamente avere un proprio noviziato, nel 1882.

A pochi passi da Porta Pia

Sempre a Roma era attiva un’altra residenza, non troppo distante da Porta Pia, la casa di esercizi spirituali di S. Eusebio, ad appena 2 km. Chi scrive è particolarmente informato sugli avvenimenti politici e li riporta per iscritto.

La prima informazione interessante è registrata già il 5 settembre 1870 “si sa che Napoleone III è stato fatto prigioniero”, la Francia fino a quel momento era stata alleata e strenuo baluardo di difesa contro ogni possibile attacco.

Il 10 settembre ci sono nuove informazioni: “Il S. Padre ricevette Penga di S. Martino che a nome di Vittorio Emanuele annunciava l’assedio di Roma e dopo pranzo il S. Padre andò a Termini a vedere e benedire l’acqua Marcia. Gran folla ed evviva”.

“11 settembre: le truppe italiane entrano i confini dalla parte di Viterbo e di Ceprano. La truppa pontificia si ritira dopo combattimento. Il 18 le truppe sono arrivate a Roma, l’estensore infatti scrive “le truppe italiane minacciano di entrare, mandasi un ultimatum al S. Padre. Il 19 tornano a Roma alcuni gesuiti che erano fuori città”.

Il 20 è riportata la cronaca degli avvenimenti: “Prima delle 5 si sente il bombardamento. Alcune schegge di bombe arrivano sul tetto, una entrò dalla finestra: non vi fu danno sebbene qualcuna intera cadesse nel giardino. Alle 10 sventolò la bandiera bianca. Si credette prudente inviar fuori in case particolari alcuni padri, ma furono per la via sorvegli dalla ciurmaglia che entrò subito dalla breccia e dalla Porta Pia senza aspettare le condizioni dell’armistizio, arrivarono però tutti salvi. […] La sera qualche compagnia di Bersaglieri attendossi nello stradone e 25 ufficiali dormivano nelle camere degli esercitanti, così rimasero per tre giorni e poi restammo soli, non avemmo nessuna molestia”.

Il diario si interrompe qui per riprendere quasi un anno più tardi il 3 luglio 1871, anche la casa di S. Eusebio fu poi confiscata nel giro di pochi anni.

Non abbiamo purtroppo i diari di altre residenze romane, quella del Gesù e quella di S. Ignazio, che forse avrebbero potuto aggiungere più informazioni, mentre le fonti del Collegio Romano, oggi conservate presso la Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele di Castro Pretorio furono studiate da p. Martina che ha indagato la vita dei suoi confratelli nelle ultime settimane dello Stato Pontificio.

Un bilancio delle nostre fonti

Notiamo alcune difformità tra le fonti: alcuni diari parlano di cannoneggiamento alle cinque, altri alle cinque e un quarto, a volte l’ingresso delle truppe in città è fatto risalire a mezzogiorno ma altre volte alle dieci.

Questo è dovuto a diversi fattori: non tutte le residenze si trovavano vicine a Porta Pia, quindi chi scrive può essersi basato su quanto gli è stato riportato, considerando la vicinanza tra S Eusebio e la breccia, lo si può ritenere il diario di casa più affidabile almeno per l’ingresso delle truppe da quella parte.

Sicuramente gli scriventi riportano anche informazioni riferite dai confratelli o da persone amiche, come il figlio del principe Borghese che informa personalmente i gesuiti.

La presa di Roma, come assodato dalla storiografia fu un evento incruento, le truppe pontificie avevano ricevuto l’ordine di non opporre resistenza e se ne trova conferma nelle fonti, nonostante si fossero preparati presidi sanitari per eventuali feriti non sono segnalati scontri, ma solo l’atteggiamento vittorioso dei militari che in qualche caso spaventa i sacerdoti.

Un altro dato, comune a tutte le residenze ancora attive a Roma e nei dintorni, emerge chiaramente: i gesuiti dovettero abbandonare le residenze, non subito, spesso ebbero a disposizione uno o più anni per farlo, ma nel resto del 1870 non si registrano attività apostoliche né si riporta quanto avvenuto nella quotidianità.

Testimonianze fotografiche

Nel nostro Archivio non si conserva documentazione fotografica di quel giorno, la fotografia non era ancora così diffusa e sicuramente i gesuiti nell’incertezza del momento non hanno scattato fotografie.

Le foto che accompagnano il testo di oggi raffigurano alcuni particolari della facciata del Collegio Romano, lo stemma della Compagnia fu scalpellato nei mesi successivi alla caduta di Roma. Ancora oggi gli stemmi si presentano in questo modo.

Maria Macchi