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Le disavventure del missionario

Foto di gruppo di gesuiti missionari in Cina - Archivio Storico - Gesuiti, Provincia Euro-Mediterranea

La vita del missionario comportava una certa dose di rischi, scomodità e inconvenienti a partire dal viaggio alla volta delle missioni. Di conseguenza per i religiosi era necessario adattarsi e trovare soluzioni per piccole e grandi problematiche della quotidianità. Lo deduciamo da diverse fonti: lettere edificanti, corrispondenza dei missionari.

La fonte

Possiamo conoscere meglio le difficoltà del viaggio grazie ad altre fonti, come quella che presentiamo oggi. 

Si tratta di una sorta di decalogo, intitolato “Notizie utili per i neomissionari”, scritto nel 1940 da p. Minella, per i gesuiti destinati alla missione e membri della Provincia Torinese. Il documento si trova nel faldone “missione di Peng Pu”, nel Fondo della Provincia Romana. Probabilmente il Provinciale di quest’ultima aveva reputato utile estendere questi consigli anche ai propri missionari. Si saranno attenuti a queste indicazioni tutti i gesuiti della Provincia Romana partiti per la missione, tra loro p. Bortone.

La maggior parte delle indicazioni sono di tipo pratico e riguardano il viaggio e l’arrivo nelle terre di missione. Il documento però permettere di leggere, tra le righe, anche il contesto e la percezione che si ha dei missionari a Oriente.

Si inizia però dalle basi: secondo chi scrive è indispensabile, per un gesuita destinato alla missione, aver visitato Roma almeno una volta “altrimenti si perde la faccia in molte occasioni: per i cinesi e in genere per gli stranieri è inconcepibile un Italiano che non abbia visto il Papa e Roma”.

Il viaggio

P. Minella non ha dubbi in merito alla scelta della classe per la cabina della nave – siamo in un’epoca in cui esistevano ancora le differenze tra prima, seconda e terza classe – “Non andare in terza classe.” Spiega le ragioni di questa affermazione: “Bisogna aver provato un poco di mal di mare per sapere che cosa diventa una cabina senza areazione, quando la temperatura è a 40°. Inoltre non c’è spazio sufficiente per stare appartati e lontani da certe donne in costume da bagno modernissimo. Quindi prenotare seconda economica o seconda classe come fanno molti missionari.”. 

Il gesuita commenta l’ambiente a bordo delle navi, anche in un altro passaggio del documento, definendolo “alquanto frivolo”.

Nella prima metà del Novecento le navi ed i transatlantici sono i mezzi di trasporto privilegiati per lunghe distanze, gli aerei sono ancora troppo costosi, quindi la maggior parte dei viaggiatori si affolla sulle navi. 

Risalgono a quel periodo anche alcuni drammatici naufragi di questi grandi transatlantici.

L’alto numero di passeggeri corrisponde ad una mole altrettanto grande di valige, questo spiega il consiglio successivo per i bagagli da spedire “è conveniente, se non necessario, avere elle casse robuste, di uguale grandezza, di uguale colore, con la nostra sigla (S.J.) in caratteri cubitali […] per facilitare il riconoscimento delle casse in mezzo agli innumerevoli bagagli di mille e più passeggeri.”

Inconvenienti e disguidi con casse leggere o oggetti fragili dovevano essere frequenti, lo scrivente infatti ricorda “l’olio di P. Costa andò a sporcare troppi bagagli”.

Oggetti indispensabili

La questione del bagaglio robusto è sottolineata ancora una volta quando si parla delle valige: “occorrono robuste valigie di cuoio con cinghie se si vuol giungere alla fine del viaggio con qualche cosa. L’esperienza nostra, dei Romani, dei Canadesi dice che valige autarchiche non valgono molto.”

Il documento ci fa notare alcuni cambiamenti storico sociali che toccavano anche la vita dei religiosi: “un orologio da polso è più indicato del comune Roskopff[…] Ormai quasi tutti hanno un orologio da polso. […]” L’orologio citato era quello da taschino, solitamente attaccato all’abito per mezzo di una catenella”. Inoltre leggiamo “I calzoni siano lunghi, bianchi e neri, poiché qui non si usa altro.”

I cambiamenti sociali però vanno molto oltre il vestiario, P. Minella infatti afferma che per un missionario: “è necessario sapere l’inglese. Il latino e il greco non servono a nulla, nemmeno a farsi capire dai preti inglesi o americani. A Maison Chabanel è indispensabile, così pure in tutti gli affari: anche F. Ciminari gli sta dando sotto per impararla.”

Il gesuita passa poi a elencare tutti gli oggetti indispensabili che ogni missionario deve mettere in valigia: sveglia robusta, una borsa di cuoio da studente, spazzola da scarpe e da abiti, berretto basco, casco “non da pizzardone torinese che è a pera” [nome che si usava all’epoca per i vigili], occhiali da sole, sapone, asciugamano, da bagno, pigiama, pancera o calzoncini da bagno. Quest’ultimo indumento ha una particolare importanza legata ad una delle problematiche più frequenti del viaggio e del cambio climatico: “per non prendere freddo (dissenterie!)”.

La dogana

Particolarmente problematico sembra essere il primo approccio con la dogana. Il gesuita consiglia infatti che le casse si possano aprire facilmente in modo che i doganieri possano controllare il contenuto, suggerisce anche di preparare una lista di quello che c’è all’interno. Scrive poi “Secondo una nuova disposizione la dogana dovrebbe lasciar passare gratis tutto ciò che serve alla propaganda religiosa!!”.

Inoltre era necessario dichiarare il valore degli oggetti, non proprio con esattezza ma, come suggerisce lo scrivente “non sia talmente irrisorio da destare sospetti. In genere si può dare un quinto del valore che le cose hanno in Italia.”

La dogana impone un prezzo particolarmente alto per diversi oggetti della vita quotidiana che il gesuita elenca: macchine da scrivere, macchine fotografiche, biciclette, radio, moto, oggetti in argento, oro, seta.

Per alcuni oggetti, visti i costi di dogana, era preferibile procedere all’acquisto direttamente in Cina.

Il decalogo risultava, in alcuni passaggi, già vecchio e in parte superato. Infatti p. Minella aggiunge alcune note qui e lì specificando che la situazione in Cina, nel corso degli anni, è cambiata. Alcuni prodotti sono diventati molto costosi, mentre le procedure della dogana si sono a volte irrigidite.

Il documento si conclude con un motto che rende chiaro l’intento che ha animato p. Minella nel comporre il decalogo e le finalità: “L’esperienza è una lanterna che illumina solo chi la porta”.

Maria Macchi