I genitori dei gesuiti

È possibile ascoltare la voce dei genitori dei gesuiti? Cosa pensavano della scelta dei propri figli? Quali documenti potrebbero permetterci di scoprirlo?
Le carte conservate nei fascicoli personali dei gesuiti testimoniano le varie tappe della vita religiosa: certificati di Battesimo e Cresima, informazioni rilasciate dai gesuiti che hanno incontrato il novizio, primi voti e Ultimi Voti, attestati, diplomi. Potremmo pensare che dei genitori ci restino solo un nome ed un cognome presenti nei primi documenti.
I documenti firmati dai genitori
Invece nel nostro archivio si trova molto di più. Abbiamo, ad esempio, il permesso per entrare in noviziato firmato da entrambi i genitori. Spesso in questa occasione la madre firma con il cognome da nubile. Era un documento obbligatorio fino ai primi decenni del Novecento. Alcuni ricercatori hanno poi notato che nei diari di casa del noviziato a volte si trova traccia del malcontento di qualche padre, spesso nobile, che non concordava con la scelta del figlio di abbracciare la vita religiosa. È il caso di Monaldo Leopardi, reclamato a gran voce dal padre.
Conserviamo anche qualche lettera indirizzata dai genitori al figlio novizio e poi inserita nel fascicolo personale o dalla madre di un gesuita al Provinciale.
I volti di madri, padri, fratelli, sorelle e parenti popolano molte delle nostre fotografie: sono presenti alla prima messa del figlio, agli Ultimi Voti, invitati a volte in comunità per qualche festeggiamento o pellegrini essi stessi, insieme ai parrocchiani. Negli album personali di molti gesuiti si trova la foto dei genitori inginocchiati davanti al figlio nell’atto di ricevere l’ostia, durante la prima messa: un momento sicuramente molto emozionante. I rapporti familiari sono ampiamente testimoniati: nelle carte dei defunti si trovano ricordi funebri di vari familiari, foto del gesuita da piccolo in braccio ai genitori. Spesso è il gesuita a celebrare il matrimonio di fratelli e sorelle. A volte si conserva anche qualche lettera che il religioso scambiava con la famiglia.
Un quaderno di ricordi
Oggi però vi parliamo di un documento che difficilmente si trova in archivio. Si tratta di un piccolo quaderno rinvenuto nel fascicolo personale di p. Francesco Gorla. Non è un suo diario, né vi sono dentro i suoi appunti spirituali: contiene i ricordi di sua madre che si firma Erminia Gorla nell’ultima pagina.
Scrive spronata dal cognato monsignore che le consiglia di prendere appunti sulla vita del figlio: “non per vantare le sue qualità e tanto meno per averne io lode, ma per dar gloria a Dio e per testimoniargli la mia riconoscenza.”
P. Francesco era nato il 24 febbraio 1894, era entrato in Compagnia il 12 novembre 1920 ed è deceduto l’11 novembre 1939 a 45 anni. La madre ne parla già al passato in tutto il suo racconto. Probabilmente scrive poco dopo la morte del figlio anche se il quaderno non è datato.
Dalla penna di Erminia Gorla
Riportiamo alcuni passaggi particolarmente toccanti del racconto di Erminia Gorla sul figlio:
Quando penso a tanti particolari della vita del mio figliolo mi convinco che la sua vocazione è, direi quasi, nato con lui. […] Una mattina lo portammo ad assistere alla Messa di suffragio dl mio povero babbo: finita la messa ci furono delle funzioni, ci fermammo, passarono circa due ore senza che noi ci accorgessimo, era quindi passata da un po’ l’ora del pranzo, il bambino non fiatava, attento a tutto lo svolgersi della funzione religiosa.
Quando uscimmo una signora ci disse che era meravigliata nel vedere un bambino così piccolo stare per ore in chiesa sempre fermo e attento: mi sembra che fu in quell’occasione che mi disse: “io vorrei diventar Papa per sapere tutto della religione”. […] Fummo traslocati a Genova quando lui aveva undici anni: allora in quella città si vedevano tanti emigranti, tanti accattoni in giro; gli emigrati in special modo gli facevano pena, seduti per terra, malconci, stanchi e lui mi domandava sempre soldi per fa elemosine. Siccome io gli dicevo che avevo poche disponibilità allora cambiava tattica e mi diceva “guarda mamma quella povera donna (o quel povero uomo) si sentirà male?”
[…] nel febbraio del 1915 morì mio fratello ed io pel dispiacere e per qualche piccolo strapazzo mi ammalai e dovetti tenere il letto per circa una settimana […] il mio figliolo mi assistette con tutto l’affetto moralmente e materialmente; faceva anche da cuoco e cercava tutti i mezzi per tenermi sollevata di spirito, si metteva sovente al pianoforte e imitava un suo compagno molto buono a venire col violino e così improvvisavano piccoli concerti tutto per distrarmi sapendo che la musica mi piace assai. […] E qui parlerò della sua vocazione che ci annunciò dopo esser tornato dalla prigione: devo confessare che per noi questo annuncio è stato uno schianto, non potevamo persuaderci che il nostro figliolo unico e tanto buono e che ci era tornato sano e salvo dopo tanto pericolo per più di tre anni, dovesse lasciarci soli […] col tempo e con l’aiuto di Dio ci persuademmo tanto più che capivamo che contrastandolo gli facevamo del male; solo gli domandammo che si laureasse prima d’entrare nella Compagnia: ed egli mentre andrebbe desiderato entrarvi subito, si arrese al nostro desiderio[…] E venne il momento d’entrare in Noviziato: lo accompagnammo di sera e lo lasciammo là […] Entrato in noviziato egli fu felice: ne ebbimo sempre lodi dai Reverendi Padri Superiori tanto nel tempo del noviziato come quando fu scolastico e finalmente come Sacerdote: Dio lo Benedica!
Le lettere dalla prigionia
Oltre a questo piccolo quaderno, che ci racconta l’infanzia del gesuita ed il rapporto di grande affetto tra madre e figlio, nel fascicolo si conservano anche le lettere che Francesco Gorla, giovane soldato durante la prima guerra mondiale, prima di diventare gesuita, scriveva alla famiglia. Era stato fatto prigioniero a Mauthausen e da lì ha indirizzato alcune missive ai familiari. Scrive su pezzetti di carta, a volte a matita, rassicura i parenti sulle sue condizioni. Dedicheremo sicuramente un altro approfondimento a questa parte della vita di p. Gorla e alle lettere dal fronte che il nostro archivio custodisce.
Abbiamo voluto dedicare la puntata del primo novembre, solitamente sempre legata al tema dei defunti, a questo toccante racconto che testimonia quando il ricordo di chi non ci sia più resti nella memoria dei vivi per poi passare alla carta, alle fotografie destinato ad essere custodito negli archivi storici, lì dove a distanza di tempo ricercatrici e ricercatori ricostruiscono intere vite.
Maria Macchi











