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Lettere dal carcere di Fenestrelle

Particolare di una lettere scritta da Giuseppe Mancini al fratello durante la detenzione nel carcele di Fenestrelle - documento conservato nell'Archivio Storico dei gesuiti EUM a Roma

Lo storico Alessandro Barbero ha dedicato a questo Forte il libro “I prigionieri dei Savoia. La vera storia della congiura di Fenestrelle”, dimostrando come sia falsa la lunga tradizione secondo cui i soldati borbonici detenuti nel carcere fossero trattati come in un lager.

In origine costruito come fortezza militare, l’insieme di fortificazioni è stato utilizzato come prigione sia nel periodo napoleonico sia dai Savoia e dal Regno d’Italia.

Le fonti

La fonte che ci accompagna nel viaggio di oggi è un corpus di lettere, circa 90, scritte tra il 13 giugno 1811 e agosto del 1813, da uno dei prigionieri. Raccontiamo dunque una storia di vita vissuta a Fenestrelle, cinquant’anni prima dei fatti narrati nel libro del professor Barbero. Gli aspetti della vita quotidiana nel periodo napoleonico sembrano in linea con le condizioni delle carceri del tempo.

Le lettere sono state scritte negli anni in cui le conquiste di Napoleone sono al loro apogeo.

Probabilmente la corrispondenza è stata affidata ai gesuiti successivamente, forse per curare una biografia di questo prigioniero, oggi sono conservate nel Fondo della Residenza di Firenze.

Giuseppe Mancini, sacerdote e detenuto

Giuseppe Mancini, all’epoca dei fatti un sacerdote, era nato nel 1777. Era stato ordinato nel 1806, appena cinque anni prima di finire in carcere. Non è a Fenestrelle per reati minori, né il forte è destinato ad accogliere criminali comuni, il canonico è un oppositore politico, anche se non dei più pericolosi.Nel 1808 vive in Toscana, è vicario generale nella diocesi di Fiesole. Il rapporto tra Napoleone ed il Papato è molto teso, Napoleone vorrebbe che il Pontefice riconoscesse i vescovi nominati dallo stesso imperatore, il Pontefice ovviamente rifiuta.

Napoleone ordina che siano allora i vicari capitolari a conferire la nomina vescovile, negata dal Pontefice. In quel momento la diocesi di Firenze è vacante, Napoleone indica Mons. D’Osmond come suo candidato ideale, il Pontefice impone al capitolo Fiorentino di non riconoscerne la nomina. Mancini si reca personalmente a Piacenza per informarne D’Osmond che rifiuta di eseguire il volere del Pontefice.

Mancini, di ritorno a Firenze viene convocato a Torino dalla polizia imperiale, arrestato e condotto a Fenestrelle. Viene rinchiuso nel carcere perché è fedele al Papa. Questo periodo di prigione rafforzerà i suoi sentimenti conservatori, sarà tra le voci più favorevoli alla restaurazione nel 1815, all’indomani del Congresso di Vienna. La figura di Giuseppe Mancini non è sconosciuta, gli è stata dedicato una voce del Dizionario Biografico degli Italiani illustri.

Le lettere di Mancini dal carcere

Non sono però conosciuti i suoi anni a Fenestrelle, il carteggio è infatti inedito. Mancini durante la prigionia scrive a due corrispondenti, membri della propria famiglia, sono il fratello e la cognata, attraverso di loro riesce anche a gestire i propri incarichi e parte dell’amministrazione di famiglia.

Il religioso parla della propria detenzione e delle proprie giornate. Da queste lettere possiamo cogliere alcune caratteristiche della quotidianità del carcere e dei suoi abitanti forzati.

Nel carcere i detenuti dovevano provvedere al proprio sostentamento, una consuetudine però tipica del sistema carcerario di Antico Regime, in cui erano le famiglie e le confraternite di carità a provvedere ai detenuti, non lo Stato. Così accadeva anche a Roma e tutte le città degli Antichi Stati Italiani. Anzi a Fenestrelle questo avveniva in misura minore, il carcere fornisce diversi beni primari.

I prigionieri, almeno in questo periodo e secondo il lignaggio, potevano ricevere visite.

La struttura

Mancini fornisce una descrizione precisa dell’insieme dei forti:

la fortezza detta in generale “Fortezza di Fenestrelle” comprende un gran numero di Forti, ma i più considerabili di questi sono Fort Mutin, Fort S. Charles e Fort Valois. Fort Mutin rimane un poco più basso del nostro e non comunica per mezzo di lavori col medesimo, in esso stava la Marchesa Prié e vi son ora pochi prigionieri. Io sto nel Forte S. Carlo, che rimane in mezzo, fra l’uno e l’altro de’ suddetti […] un gran Padiglione, ossia Palazzo Militare […] davanti una piazza tutta circondata di cannoni e masse enormi di palle di ogni calibro, dirimpetto a questo Padiglione sulla Piazza stessa ve ne stà un altro più piccolo, ove sono stanze vuote da ufficiali, cantine, cucine e ogne inservienti ai prigionieri. Ai lati di questo secondo padiglione comincia immediatamente una gran salita della Montagna, che è sommamente scoscesa […] Questa è veramente la meraviglia, giacché si tratta di un’altissima montagna, alla cui cima è piantato il Forte Valois, e tutta questa montagna è coperta di ogni maniera di Fortificazioni le quali congiungono i due Forti S. Charles e Valois.

Il racconto prosegue ancora per tutta la pagina elencando le ripide scalinate, ben tremilaseicento gradini, le strade a disposizione dei prigionieri per sgranchirsi le gambe e le tante strade e gallerie che collegano, tra loro, i forti.

Oggi il forte di Fenestrelle è visitabile, appare esattamente come lo descrive Mancini nel 1811.

Certo si tratta di grandi spazi, in un’epoca in cui il riscaldamento era garantito solo dalla legna, infatti Mancini scrive alla cognata di soffrire il mal di denti ed il freddo, “l’aria è troppo viva e dura”.

Da un’altra lettera “qui è ancora perfetto inverno. Da molti giorni piove dirottamente: siamo avvolti tra folte nebbie, o per dir meglio tra le nuvole, e possiamo dire che non piove sopra di noi, ma intorno a noi, e sotto di noi: siamo esattamente gli abitatori delle nubi”.

Nel forte dove Mancini alloggia c’è una cappella, dove si dice messa e si prega il Rosario.

La vita quotidiana

La prima lettera di Mancini inizia proprio con il racconto di una visita ricevuta da un amico, rimasto due giorni lì. Il Marchese D’Azeglio, torna qualche mese più tardi, portandogli libri, panni, zucchero e cioccolata. La cognata di Mancini deve essersi meravigliata di questa possibilità ed aver interrogato il congiunto che risponde:

“Mi pare che sia rimasta molto sorpresa della visita fattaci da Azeglio soprattutto per il capo della licenza di penetrare in questo formidabile recesso; ma la licenza più importante, come Ella può supporre è quella della borsa”. Quindi era frequente l’abitudine di pagare i carcerieri per accedere e far visita ai prigionieri.

Scopriamo di più sulla prigionia di Mancinelli, che divide la stanza con un altro prigioniero Ferdinando de Barrera:

“noi viviamo sempre insieme, e nella medesima camera: questa è per me una gran fortuna: noi siamo per così dire un cuor solo; egli mi solleva estremamente e mi porge de’ buoni esempi.”

Le lettere sono un prezioso strumento di comunicazione, utilizzato sia dal compagno di prigionia per lasciare un proprio messaggio, sia da altri come il prigioniero Valentini, un modo per tenersi in contatto con il mondo esterno.

Le condizioni di prigionia sono buone, lo scopriamo da una descrizione di uno dei capitani addetti alla vigilanza, in un passaggio della stessa lettera c’è anche una descrizione del forte:

[…] questi è una persona eccellente e amabile oltre ogni credere, egli ci favorisce qualche volta e ci riguarda con occhio di bontà, egli è amato da tutti per la sua virtù.

La cucina

Per quanto riguarda il cibo racconta:

“in quanto alla cucina, ve ne ha una sola per tutta la comunità, com’ella suppone, ma non vi è poi perfetta uniformità nelle vivande che toccano a ciascuno, giacché si mangia separati nelle proprie camere, da soli, chi con un compagno come io con Barrera, chi con più Compagnia. Si può chiedere alla cantina qualche cosa di ciò che più aggrada, s’intende già cose semplici e di mediocre spesa: per esempio io mangio sempre l’uova invece di lesso. L’ora [del pranzo] è mezzogiorno e mezzo la mattina e la sera le 9.

I prigionieri possono scrive lettere e spedirle tre volte a settimana: il lunedì, il mercoledì ed il venerdì entro le nove del mattino. La posta arriva al Forte il martedì, il giovedì ed il sabato entro le otto di sera.

Le condizioni sono anche migliori, per alcuni aspetti, rispetto a tanti altri luoghi di detenzione, parlando della biancheria:

“riguardo alle lenzuola quelle le da il Forte, così la biancheria da tavola”.

Quanto non è fornito dal Forte, se non può essere recapitato personalmente da qualcuno, impiega circa due mesi ad arrivare tramite spedizione.

Abbiamo potuto ripercorrere solo alcuni passaggi delle numerose lettere di Mancini, che sicuramente meriterebbero uno studio più approfondito.

Nel 1814 Mancini tornò libero e quattro anni più tardi fu nominato vescovo di Massa Marittima nel 1818. Nel 1824 divenne arcivescovo di Siena, incarico portato avanti fino alla morte.

Mons. Mancini sopravvisse a Napoleone, per diversi decenni, morirà nel 1855 a Siena, convinto sostenitore dell’Antico Regime.

Maria Macchi