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I gesuiti e l’obbedienza

Giuseppe D'Apollo SJ durante una celebrazione eucaristica

Che cos’è l’obbedienza per il religioso e come è evoluta questa attitudine nella Compagnia di Gesù?

Insieme alla castità e alla povertà, l’obbedienza costituisce uno dei pilastri della vita religiosa. Suore, sacerdoti, frati sono tenuti a condurre una vita modesta, per alcuni ordini mendicanti il rigore è maggiore per quanto riguarda la povertà. Per quanto riguarda l’obbedienza, essa è dovuta a diverse persone che ricoprono ruoli ecclesiastici.

Per il sacerdote diocesano il riferimento è al suo vescovo, quindi al Pontefice, per il membro di una congregazione religiosa c’è anche una gerarchia interna, come per i gesuiti.

Ogni novizio imparava che l’obbedienza fosse dovuta sempre al proprio superiore e che il massimo rispetto era nutrito nei confronti dei confratelli più anziani.

Un gesuita, che non ricoprisse nessun ruolo apicale, doveva dunque obbedienza al Superiore locale, il Superiore della comunità e in sua assenza al ministro o al confratello che egli avesse designato, quindi al Superiore Maggiore (il Provinciale), al Padre Generale all’interno della gerarchia della Compagnia di Gesù.

Alcuni ricercatori hanno studiato questa tematica consultando soprattutto i Monumenta, le lettere di S. Ignazio e dei suoi collaboratori e successori destinate ai confratelli e ad altri corrispondenti.

L’obbedienza viene dichiarata in diverse fonti che riflettono diversi momenti della vita dei gesuiti.

L’obbedienza nella formula degli Ultimi Voti

Al momento degli Ultimi Voti, la solenne e definitiva incorporazione nell’ordine per un gesuita, i padri possono diventare coadiutori spirituali o professi di quattro voti. Si tratta di un ulteriore voto di obbedienza, che questi gesuiti fanno nei confronti del Papa e che in passato riguardava le missioni.

Se il Pontefice avesse chiesto ad un professo di quattro voti di partire per una destinazione lontana per annunciare il Vangelo, questi avrebbe obbedito.

Oggi il quarto voto non è più legato all’attività missionaria ma è comunque previsto che il Pontefice possa chiedere ad un gesuita un incarico o un apostolato specifico. In questo caso i gesuiti, impegnandosi a non ambire alla carriera ecclesiastica, si confrontano con il Padre Generale.

L’obbedienza nella vita quotidiana

L’obbedienza era però parte della vita di tutti i gesuiti, messa alla prova fin dai primi anni di noviziato attraverso l’espiazione di colpa, alla presenza di tutti i confratelli della comunità in refettorio, in ginocchio. Si tratta di una pratica non più in vigore oggi, fin dalle riforme del Concilio Vaticano II.

L’obbedienza era sperimentata anche in occasione delle destinazioni. Ogni gesuita, periodicamente, in passato come oggi, viene riassegnato ad una nuova città o residenza, con nuovi incarichi perché il suo carisma ed il suo esempio di vocazione possano raggiungere diverse persone e territori.

Oggi la destinazione è frutto di un dialogo con il Provinciale, che accoglie anche le aspirazioni del gesuita, in passato invece era diverso.

Da alcune lettere di destinazione leggiamo “Caro Padre, fratello in Cristo, la Santa Obbedienza la invia presso la residenza di […]”.

La comunicazione è spesso breve, sobria e assertiva, non c’è una spiegazione che accompagna la motivazione.

Quando il Provinciale decideva non era materia di discussione, né di scelta, poiché lo si riteneva sempre ispirato dalle migliori intenzioni e dallo Spirito Santo.

Anche il linguaggio, che deduciamo da lettere e fonti, ci racconta come fosse declinata l’obbedienza.

Ci si rivolgeva al Provinciale chiamandolo spesso “Vostra Paternità”, poiché era considerato un padre per tutti i gesuiti della Provincia, che a lui erano affidati durante il mandato.

Ogni superiore, sia il Provinciale che tutti i responsabili delle residenze, erano l’autorità di riferimento, la comunità era composta da gesuiti considerati sudditi del superiore. Questo lessico era ispirato al contesto in cui la Compagnia era nata e si era sviluppata per la maggior parte della sua storia: quello di stati monarchici, governati da monarchi assoluti.

Con la fine di queste forme di governo e l’avvento della democrazia e delle repubbliche, anche questo lessico della Compagnia di Gesù è venuto meno.

Come si declina oggi l’obbedienza

L’obbedienza, sempre prescritta dallo stesso S. Ignazio e ricordata nelle Costituzioni, documenti interni e richiamata nelle lettere, non è stata immune dunque dai cambiamenti sociali.

Si possono interrogare diverse fonti che raccontano la declinazione dell’obbedienza nella quotidianità: i diari di casa, la corrispondenza, gli appunti personali di alcuni gesuiti che hanno dedicato riflessioni a queste tematiche.

Nei diari di casa, già nei primi decenni del Novecento si avvertono alcuni cambiamenti: piccole disattenzioni nei confronti del regolamento, spesso causate da novità del momento come l’arrivo del telefono che fa dimenticare a chi è impegnato nella conversazione di tenere un tono di voce basso.

Comincia a venir meno l’uso del latino anche nel parlato oltre che nello scritto, sostituito sempre più spesso con l’italiano.

I grandi cambiamenti indotti dal Concilio Vaticano Secondo e dalle contestazioni degli anni Sessanta influenzarono profondamente. l’obbedienza. La sua evoluzione sarà oggetto di studio quando il pontificato di Giovanni XXIII e di Paolo VI saranno aperti alla consultazione.

Maria Macchi