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I compiti del sacrestano

Celebrazione liturgica all'interno di una chiesa in cui un fratello svolgeva l'incarico di sacrestano - Archivio Storico della Provincia Euro-Mediterranea della Compagnia di Gesù

Quali incarichi ha un sacrestano? Come si addobba un altare? Quali paramenti sacri si usano in determinate occasioni liturgiche? Sono solo alcune delle domande alle quali si può trovare risposta consultando il “Diario per il fratello sagrestano della chiesa di S. Ignazio in Castel Gandolfo”, conservato nel Fondo della Provincia Romana.

La figura del sacrestano

Ogni gesuita, nel corso del proprio cammino religioso, è chiamato a svolgere diversi incarichi; i fratelli assicuravano la gestione e la manutenzione delle residenze, alcuni lavoravano per garantire il funzionamento delle chiese, l’allestimento di altari e la cura dei paramenti liturgici.

Il sacrestano era incaricato non solo della chiesa dove i gesuiti della comunità celebravano la messa ma anche dalla cappella interna della residenza, degli altari e delle statue che si trovavano in casa e davanti ai quali spesso si trovavano dei fiori.

Il lavoro del sacrestano seguiva l’anno liturgico, quindi doveva cambiare i paramenti sacri in base alle festività, chiamare i fedeli alla preghiera, tenere puliti gli ambienti della sacrestia e della Chiesa, curare in modo particolare il tabernacolo e l’altare.

Il diario ed il suo autore

L’autore della fonte è fratel Cavasinni che nel 1885 venne destinato dal Provinciale al noviziato di Castel Gandolfo con l’incarico di sacrestano della chiesa annessa. Alcuni anni più tardi, nel 1901, avendo già un’età avanzata, 71 anni, decise di mettere per iscritto tutte le informazioni sul suo officio da trasmettere anche ai suoi successori.

Fratel Costantino, nato il 28 ottobre 1831, era entrato nella Compagnia di Gesù il 3 febbraio 1857 a Roma ed il 15 agosto 1867 aveva pronunciato gli Ultimi Voti, si spense proprio a Castel Gandolfo il 1 aprile 1903.

Nell’introduzione, scritta da un altro gesuita, il fratello sacrestano è ricordato con queste parole:

“amava la pulizia della chiesa fino allo scrupolo; era delicatissima la cura che poneva nel custodire le cose appartenenti al culto divino e spesso si vedeva – quando la malattia che lo spense gli dava un po’ di tregua – rammentare di sua mano i paramenti sacri con una diligenza amorosa. Nemico dell’ozio, tutto il tempo che gli avanzava dalle sue occupazioni, specie in questi ultimi anni lo passava nella preghiera e nella lettura di libri devoti”.

Il lavoro in chiesa

Leggiamo insieme il quotidiano e certosino lavoro svolto dal gesuita in alcune festività, iniziando da quella di S. Ignazio che ricorre il 31 luglio, giorno della sua morte.

Dal diario leggiamo:

“Alle 5 si apre la Chiesa e si accendono 4 candele alla Reliquia, 6 controlumi e le lampade di tutti gli altari. […] Se vi fosse qualche Vescovo o altro Prelato insigne, sarà pensiero del Prefetto della Chiesa di provvedere in modo che tutto proceda con ordine e con decoro. Alla Messa d’un Vescovo si prepara il genuflessorio coperto d’un drappo rosso, due cuscini, il canone, la bugia: sulla credenza si pone il calice, l’ostia, il purificatoio, sull’altare tutto l’occorrente per vestirsi e si accendono le 6 candele alte.

In sacrestia si prepara per la messa cantata; per questa solennità il parato in terzo si prende quello della Cappellina di Mater Pietatis, turibolo d’argento, 4 torce, cotte gricce. In Chiesa di prepara la credenza, cioè il calice con la borsa e corporale, purificatorio e ostia, due messali, ampolline con acqua e vino, campanello etc. tutto si copre col velo omerale.

Terminata la messa cantata e dovendosi preparare per la benedizione solenne, la reliquia si espone sulla Mensa dell’altare del S. Cuore con sei candele e fiori”.

Nelle messe cantate erano spesso i novizi e i collegiali delle scholae cantorum a eseguire canti e salmi. 

Interno di una chiesa in cui un fratello svolgeva l'incarico di sacrestano - Archivio Storico della Provincia Euro-Mediterranea della Compagnia di Gesù

Il lavoro ordinario

In una piccola appendice vengono riportati consigli e pratiche per altre occasioni, dalle quali possiamo ricostruire la vita nelle comunità gesuitiche: la domenica, il primo venerdì del mese, la messa nel periodo del Carnevale, i quindici sabati del S. Rosario, il triduo alla Madonna di Pompei e del Rosario, il decesso di un confratello.

Il decesso di un gesuita

“Il sagrestano deve mandare in camera del defunto la Croce a stile, la coltre, due cotte e stola nera, il secchietto con l’acqua benedetta, e 4 candele per l’accompagno.

Intanto si prepara la pianeta nera e due cotte. In Chiesa si preparano 4 candelieri con candele da mettesi ai 4 angoli della bara. Si porta all’altare maggiore il piviale nero, due messali da morto. Per l’ufficiatura si accendono 4 controlumi. Per l’assoluzione si prepara il turibolo e le candele di due once, tante quanti sono in coro”.

La domenica

“Ogni domenica dell’anno nella nostra Chiesa si recita il Santo Rosario. In sacrestia si prepara cotta e stola per il Sacerdote, altre 4 cotte per i novizi assistenti, il velo omerale, il turibolo e due torce. Terminati i 3 segni delle campane si accendono 4 candele del primo gradino, quindi il Sacerdote con due novizi si porta all’altare e incomincia il Santo Rosario.

Al quarto mistero si accendono le sei candele del secondo gradino. Terminato il Rosario il Sacerdote apre il ciborio incensa e intona le litanie, verso il fine delle medesime escono di sagrestia i due torciferi e il turiferario si canta il “Tantum ergo” e si dà la Benedizione con la Sacra Pisside e poi “Dio sia benedetto””. 

Molte delle prassi liturgiche descritte dal gesuita oggi vengono eseguite in modo diverso, “alleggerite” da Concilio Vaticano II e dalle suo nuove prescrizioni.

Allo stesso modo i paramenti e le modalità di alcuni riti per la comunità, come le veglie funebri, oggi vengono eseguite in modo diverso.

Il diario ci aiuta a comprendere quale fosse l’allestimento scenografico della chiesa e quanto fosse importante anche per i fedeli.

Maria Macchi