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Costruire una scuola

Fotografia del cantiere dell'Istituto Massimo a Roma - Archivio Storico - Gesuiti, Provincia Euro-Mediterranea

Da un paio di settimane, almeno in Italia, bambini e ragazzi sono tornati in classe. La scuola è il luogo dove entriamo per la prima volta a tre, quattro anni e da cui usciamo ormai maggiorenni. Un edificio che spesso si ricorda con piacere o con paura, un luogo che sembra esserci sempre stato.

Grazie alla documentazione conservata nel nostro Archivio Storico è possibile osservare l’evoluzione dell’edilizia scolastica. In passato infatti i collegi della Compagnia di Gesù sono stati ospitati in residenze donate da famiglie facoltose e che necessitavano di qualche lavoro di adattamento per renderle idonee: trasformare le stanze in classi, trovare il luogo idoneo per il teatro. Nel corso del tempo poi è stato necessario aggiungere i laboratori. È il caso, ad esempio, del Collegio dei Nobili di Villa Mondragone. Altre volte invece è stato necessario ricostruire una scuola. A causa dei bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale diversi edifici sono stati rasi al suolo o resi completamente inagibili ed è stato necessario ricostruirli. È stato questo il caso del Leone XIII a Milano e del Collegio Arici di Brescia.

Vi siete mai chiesti come si costruisca una scuola?

Roma – Istituto Massimo

Questa domanda deve essersela fatta più di una volta p. Massimiliano Massimo quando gli hanno comunicato che il palazzo dove aveva aperto una scuola nel 1879, sarebbe stato distrutto per l’ampliamento del piano regolatore. Infatti lo Stato Italiano, di cui Roma era diventata la capitale dopo la caduta dello Stato Pontificio il 20 settembre 1870, tra gli anni Settanta e Ottanta dell’Ottocento stravolse la città: vennero costruiti gli argini del Tevere, un’operazione che cambierà per sempre il rapporto tra i romani ed il fiume, vennero costruite strade più ampie ampi che alterarono il reticolato del centro di Roma. P. Massimo aveva ereditato Villa Peretti, cinquecentesca villa di famiglia ed aveva adattato saloni e stanze per ospitare la prima sede di quello che oggi è conosciuto con il nome di Istituto Massimiliano Massimo, ma costruire una scuola da zero era tutta un’altra cosa. Come fare?

La risposta è oggi conservata nei fascicoli contenuti sia nella serie dell’economato del Massimo, sia in quella della comunità che conservano: progetti, fatture, disegni, planimetrie, preventivi, lettere di raccomandazione di artisti e maestranze. Tra questi faldoni si trova il frutto della fatica di anni di p. Massimo che supervisionò personalmente la costruzione del nuovo edificio, richiedendo preventivi, valutando progetti e presenziando al cantiere come dimostra la fotografia che accompagna la puntata di oggi. Nel fondo fotografico dell’istituto Massimo si conservano alcune foto di Villa Peretti e diverse fotografie del cantiere della seconda sede del Massimo.

Anche se nelle intenzioni del gesuita la nuova sede avrebbe ospitato tutte le future generazioni di allievi, questa si dimostrò ormai inadatta già nel corso degli anni Quaranta. Infatti il numero di allievi cresceva costantemente e l’immobile non era dotato di spazi verdi, né di cortili abbastanza grandi per permettere ai ragazzi di fare ricreazione, giocare e praticare sport. Le fotografie ci raccontano del tentativo di ovviare al problema con vari espedienti: si segnavano con il gesso sul mattonato del cortile i limiti del campo da calcio o da basket, per il quale era stato installato un cesto su una delle colonne in marmo. Per consentire ai ragazzi di praticare judo in sicurezza si stendevano una serie di materassi in cortile. I gesuiti cercarono un’alternativa e la trovarono all’EUR, qui acquistarono un terreno dove posero la prima pietra per la terza e attuale sede del Massimo. In archivio si conservano le foto anche di questo cantiere. È interessante ricordare che p. Giuseppe Massaruti, professore di lettere del Massimo per cinque decenni, studiò proprio in questo istituto nell’antica sede di Villa Peretti e fu presente alla benedizione della prima pietra del Massimo, da parte di Pio XII. Non vide mai l’immobile ultimato però, morì nella sede alle Terme nel 1958.

Istituti distrutti dai bombardamenti

La stessa domanda che si è fatto p. Massimo nei primi anni Ottanta dell’Ottocento se la saranno fatta anche tutti i gesuiti che si sono trovati davanti, mezzo secolo più tardi, un collegio distrutto dai bombardamenti della seconda guerra mondiale e completamente da ricostruire.

Il Leone XIII, ad esempio, fu completamente distrutto da un bombardamento dei primi giorni di settembre del 1944. Anche il collegio Arici di Brescia è stato bombardato durante la Seconda guerra mondiale, riportando ingenti danni. Fu necessario ricostruire interamente entrambi.

Immagine delle macerie dell'Istituto Arici a Brescia dopo i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale - Archivio Storico - Gesuiti, Provincia Euro-Mediterranea
Le macerie del Collegio Arici di Brescia distrutto dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale

Ogni istituto, pubblico o privato, poteva chiedere un risarcimento per i danni subiti ed un aiuto economico per la ricostruzione. Per farlo era necessario rivolgersi al Genio Civile con la documentazione che comprovasse il danno. Nel nostro Archivio si trovano molti di questi fascicoli per altrettante residenze danneggiate, caratterizzati dalla stessa intitolazione “Danni di guerra”, non solo per la seconda ma anche per la prima guerra mondiale. Tra questi vi è anche quello dell’Arici di Brescia. Nel fascicolo ci sono relazioni tecniche e fotografie scattate all’immobile sventrato dalle bombe.

Per il collegio Arici l’Archivio possiede sia le fotografie che testimoniano i danni dei bombardamenti sia i progetti e le planimetrie per la costruzione della nuova scuola. Il nuovo istituto, più grande del precedente continuò ad ospitare gli allievi della Compagnia ancora per un decennio. Fu poi ceduto alla diocesi di Brescia che ancora oggi lo possiede e gestisce la scuola che qui ha ancora sede. I bambini dell’Arici, negli anni in cui il collegio era ancora gestito dalla Provincia Veneto – Milanese della Compagnia di Gesù, scrissero alcuni pensieri per il Provinciale in visita.

Maria Macchi