Tra le mura di un antico noviziato
Un viaggio nelle sedi del noviziato della Provincia Veneto – Milanese, tra Lonigo, Soresina, Portorè, alcune città dove la casa di probazione fu spostata tra la fine dell’Ottocento e metà Novecento.
Solitamente quando si pensa al noviziato, la casa dove gli aspiranti gesuiti trascorrono i primi due anni del percorso di vita religiosa, si immaginano le aule, le camere, la cappella, un refettorio comune, magari il giardino che circonda la casa e dove i novizi svolgono anche lavori manuali. Difficilmente si pensa ad ambienti diversi, più “pratici”, come una falegnameria, ad esempio.
Se la vita dei benedettini è quotidianamente scandita dal motto “Ora et labora”, quella dei gesuiti non segue uno schema così rigido, ma il lavoro pratico, oltre il proprio apostolato, e il servizio a favore dei confratelli e della comunità fa parte della vita del gesuita, dal noviziato in poi.
La rubrica di oggi ci consente di fare un viaggio nelle sedi del noviziato della Provincia Veneto – Milanese, tra Lonigo, Soresina, Portorè, alcune città dove la casa di probazione fu spostata tra la fine dell’Ottocento e metà Novecento.
Grazie ad alcuni inventari dei beni e dei mobili possiamo visitare virtualmente alcune stanze del noviziato che sono meno conosciute. Il noviziato aveva, quasi sempre, sede in un immobile di grandi dimensioni, come quello di Lonigo, non solo per i numerosi novizi che raccoglieva, ma soprattutto per le stanze ed i laboratori dove essi lavoravano. A Portorè, ad esempio, il noviziato si trovava all’interno dell’antico castello dei Frangipani, oggi visitabile e particolarmente suggestivo. La giornata del novizio gesuita non scorreva lenta e cadenzata dalle preghiere nella cappella di casa, ma anzi prevedeva diverse attività, aria aperta e tanto lavoro.
Dove?
Ad esempio in calzoleria, dove potevano essere impegnati, insieme a qualche fratello, nell’apprendere l’arte della riparazione delle calzature. Ricordiamo che le residenze gesuitiche erano autosufficienti per molti aspetti della quotidianità, i giovani novizi imparavano un po’ di tutto, soprattutto i giovani fratelli.
Qui avevano a disposizione la “macchina per mettere gli anellini nelle scarpe” ma anche la “morsetta per tagliare il filo di ferro”, oltre a tenaglie, raspe, punteruoli ed una macchina per cucire.
Tutti i novizi erano impiegati a turno soprattutto in cucina, dovendo imparare necessariamente a cucinare, per supplire all’assenza del fratello deputato a questo incarico, qui avevano a disposizione: caldaie di rame per la ministra e per il caffè, il ceppo per batter la carne, coltelli, forchettoni, fornello per tostare il caffè, grattugia per il formaggio, lastra di ferro per i dolci. Inoltre erano presenti macchine di ogni tipo per sollevare le pentole, per tritare la carne, tagliare le rape. Non mancavano: mestoli di rame, ottone e ferro, molle per il fuoco (pinze), padelle, palette, piatti bianchi ma anche fiorati e di ferro per portate, setacci, tegami per le uova, zuppiere stampi di latte e di rame, anche una sorbettiera.
Un fratello solitamente era responsabile della cantina, non solo come custode delle botti ma anche per i rifornimenti del vino necessario per la messa e passato anche a tavola. Qui i novizi portavano l’uva raccolta nel vigneto. Era lavorata con l’ausilio di: barili, botti, bottiglie, cavaturaccioli, damigiane, imbuti, macchina per imbottigliare, torchio per “ispremer le graspe” (il filamento a cui sono attaccati i chicchi d’uva).
Altri ambienti che componevano il noviziato erano la dispensa e il laboratorio per il fabbro. Indispensabile poi l’infermeria e la farmacia, dalla lettura degli strumenti che qui si trovavano si evince quante operazioni piccole e grandi fossero condotte direttamente in casa.
Il fratello, che spesso era infermiere ed aveva conoscenze di primo soccorso, aveva a disposizione: la “farmacopea tedesca, francese e italiana”, fasce, ferri per cavar denti e ferri per operazioni chirurgiche, padelle da letto, sputacchiere, trombetta per auscultazioni, stufa portatile, una carrozzella, campanelli per chiamare l’infermiere e chiedere aiuto.
Altri laboratori di lavoro erano la legatoria, dove si trovavano: agata per lucidare, assi per istringere i libri, compasso, filetti per la doratura e molti altri strumenti necessari per la rilegatura dei libri non distanza dalla stanza per gli oggetti necessari alla muratura (carriuole, cazzuola, martelli, scalpelli).
I novizi potevano scegliere di dedicarsi anche alla sartoria, avendo a disposizione: ferro per stirare, fustagno, saja, satin nero, stoffe peri collari, vesti di vario tipo. Indispensabile infine l’orto, per fornire materie prime alla cucina, insieme a tutti i suoi attrezzi.
La foto a corredo della rubrica raffigura l’immobile a Soresina, utilizzato per le vacanze dei collegiali e successivamente come casa di probazione.
Oggi nel noviziato non sono più portate avanti tutte queste attività manuali, ma i novizi si dividono ancora tra la preghiera ed il lavoro nell’orto e in giardino e con i turni in cucina e refettorio. Attraverso questi inventari si entra un po’ nella quotidianità del noviziato dove sono passati e cresciuti tanti gesuiti.
Maria Macchi