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Il consenso parentale per entrare in Compagnia

L’ingresso in noviziato, pur essendo una scelta personale e scevra da costrizione alcuna, comportava in passato il pieno consenso da parte dei genitori di ogni candidato.

Nei fascicoli personali dei gesuiti, almeno fino alla metà del Novecento, si trova quasi sempre un documento in cui i genitori o uno dei due – solo nel caso l’altro coniuge fosse defunto – dichiaravano che non avrebbero ostacolato l’ingresso in noviziato del figlio e che non avevano bisogno di lui in famiglia. Si tratta di un documento richiesto formalmente e conservato poi nel fascicolo del gesuita.

Questo consenso non era così scontato, anzi ci sono numerosi casi, celebri o meno, di novizi che sono andati contro il volere della propria famiglia per intraprendere la vita religiosa. Se per molte famiglie infatti la scelta di vestire l’abito, da parte del proprio figlio (spesso più di uno), era considerata una benedizione, talvolta anche un onore e un privilegio, non sempre era così per altre.

Famiglie con un unico figlio maschio potevano veder sfumare così la speranza di una discendenza patrilineare, quindi anche la sopravvivenza del proprio cognome, per i nuclei invece più poveri si trattava di due braccia in meno nei campi, prezioso apporto alla scarsa economia domestica, o una bocca in meno da sfamare per soggetti meno atti al lavoro nei campi. Per queste ragioni era importante avere il consenso della famiglia.

S. Luigi Gonzaga scappò dai genitori che non accettavano la sua scelta di entrare in noviziato, altri gesuiti nel corso dei secoli furono “richiesti indietro” dalla propria famiglia.

Nei diari di casa dei noviziati non è infrequente imbattersi nell’arrivo di madri e padri che richiedono a gran voce il figlio e che, nonostante le proteste del ragazzo e le spiegazioni dei padri, ottengano di riportarlo a casa.

Il consenso era richiesto dalla Compagnia di Gesù in forma scritta e firmato da entrambi i genitori, anche nel caso fossero analfabeti o poco alfabetizzati, in questi casi la lettera è scritta dal parroco e firmata dai genitori.

Sono molto interessanti le grafie delle firme dei genitori dei novizi, soprattutto quelle delle donne che firmano sempre con il proprio cognome di nascita e non con quello da sposate.

La grafia rivela non solo un’abitudine consolidata o meno per la scrittura, ma anche indizi di vecchiaia e malattia, in molti casi infatti il tratto è malfermo e visibilmente tremolante. Per alcuni gesuiti, la firma dei genitori è espressa con una croce, perché entrambi analfabeti.

Nel caso di Angelo Secchi, il consenso parentale firmato da entrambi i genitori, ha permesso di riscrivere la biografia del gesuita, dimostrando che non fosse orfano – secondo una tradizione storiografica diffusa da tempo – ma che il padre fosse vivo, benché anziano o malato come dimostra la grafia tremante. Il documento è visibile nella mostra virtuale su Angelo Secchi.

Nella foto a corredo dell’approfondimento di oggi si possono leggere i consensi forniti dai genitori di Stefano Colombo, nel 1931, la madre firma “Invernizzi Elisa” e quello della madre di p. Fausto Airoldi, che fornisce il suo permesso nel retro del biglietto da visita con il suo nome “Teresa Malugani Airoldi”. In questo caso è riportato anche il cognome del marito trattandosi di un biglietto da visita.

Maria Macchi