Identificare un gesuita dalle fotografie

Oggi ci sediamo virtualmente al fianco dell’archivista per capire come si possa identificare una persona in una fotografia e restituire un nome ad un volto.
Non è infrequente, per un archivista, dover cercare di attribuire un nome ad un individuo ritratto in una fotografia, contando spesso su pochi o pochissimi indizi per condurre la ricerca. Talvolta questi provengono dalla fonte stessa o dal fondo archivistico in cui è conservata la fotografia.
Tempo fa, mentre era in corso il riordino di una serie fotografica, l’archivista ha trovato un album diverso dagli altri che è stato comunque descritto nell’inventario ma che, successivamente, è stato meritevole di maggiore attenzione e di indagini più approfondite. La puntata di oggi racconta proprio lo svolgersi di queste ricerche.
Un album misterioso
Nella serie fotografica della Provincia Veneto – Milanese c’è un album misterioso. È il numero 14: ad una prima occhiata infatti il contenuto è diverso dagli altri album che compongono la prima parte della serie.
Negli altri infatti si trovano fotografie scattate e raccolte dai gesuiti delle varie comunità della Provincia: Lonigo, Gallarate, Padova, Reggio Emilia, Roncovero. Esse ritraggono i gesuiti durante diversi momenti quotidiani: l’apostolato, lo studio, la preparazione dei pasti da parte dei fratelli. Sono stati immortalati anche avvenimenti importanti come: le giornate missionarie, la partenza dei missionari, l’apertura di una residenza.
L’album in questione invece sembra essere la raccolta di foto personali di un gesuita, un gesuita straniero a giudicare dalle didascalie a corredo delle fotografie, tutte scritte con la stessa grafia. Non sappiamo però chi sia, l’album infatti non riporta il nome e questo non è strano. Chi di noi, quando da bambino preparava un album mettendo insieme le foto di una gita scolastica o di ricordi di qualche evento scriveva il proprio nome? Al massimo i più precisi segnavano date, luoghi, inserendoli nelle didascalie.
Non è la prima volta che ci imbattiamo in fotografie che sembrano non avere un legame con l’ente produttore o con il fondo dove state ritrovate, come nel caso delle foto scattate in Ucraina. Stavolta però c’è una persona, ritratta in molte fotografie, a cui l’album è appartenuto.
Cosa ci racconta la fonte
Si tratta probabilmente di un gesuita polacco, è questa la lingua utilizzata nelle didascalie, molte delle quali sono tradotte in italiano. È probabile che siano state scritte dallo stesso proprietario dell’album ma non possiamo esserne certi. Le prime foto sono state scattate il giorno della Prima Comunione e ritraggono la famiglia di questa persona, come riportano le didascalie: vediamo la madre, un fratello e una sorella, molti cugini e zii.
Sfogliando l’album ci imbattiamo anche in un timbro risalente al nazismo, apposto sulla foto di una cugina: probabilmente si trattava di fotografie che accompagnavano documenti di riconoscimento, poi asportate dal documento e inserite nell’album.
Come ogni fonte, anche l’album restituisce molta della storia del suo proprietario o comunque di chi lo ha assemblato. Alcune informazioni si trovano già nelle didascalie, come la data della Comunione celebrata il 25 agosto 1929 e quella di ingresso in noviziato che deduciamo dalla foto scattata “pochi giorni prima dell’entrare in Compagnia” e risalente al luglio 1936. Scopriamo così che uno dei fratelli del gesuita, “Mieciu”, era stato portato in Germania nel 1942 nei campi di lavoro. Anche il gesuita ritratto nell’album è stato prigioniero, a sua volta, nei campi di concentramento. Si conservano infatti alcune fotografie scattate a Dachau, la didascalia di una di queste, raffigurante l’edificio di ingresso, recita:
L’entrata principale nel campo di concentramento di Dachau, detta “la porta d’inferno”, perché era la porta d’ingresso, l’uscita non ce n’era da questo luogo. La fotografia è stata fatta dopo la liberazione dall’armata americana il 29 aprile 1945.
In una delle fotografie il gesuita indossa la divisa del campo di concentramento, a righe chiare e scure, la didascalia specifica che la foto è stata scattata due anni dopo che è uscito dal campo. Altre immagini immortalano invece la cosiddetta “baracca dei polacchi” e quella dei “preti polacchi” alcune di queste risalgono addirittura al 3 maggio 1945, scattate dunque pochissimi giorni dopo la liberazione del campo, avvenuta il 29 aprile. Sono anche riportati i nominativi di molti gesuiti polacchi reclusi a Dachau. Si tratta dunque di fonti molto preziose.
La vita dopo la seconda guerra mondiale
Il gesuita ha poi collezionato una serie di cartoline raffiguranti la città di Roma, la Basilica di S. Pietro, il Colosseo, Pio XII. Purtroppo sono state tutte incollate saldamente all’album, non è possibile capire se nel retro vi fosse del testo o qualche informazione utile. Non si tratta però di un mero interesse culturale nei confronti della Città Eterna, questa persona è stata effettivamente a Roma. Altre fotografie infatti immortalano proprio il gesuita con la Cupola di S. Pietro sullo sfondo e nei pressi del monumento al Milite Ignoto, a Piazza Venezia, insieme ad altri confratelli. Di uno di essi riporta il nome: è p. Simone Silvani, un gesuita membro della Provincia Romana. Tutti questi elementi ci dicono che il nostro gesuita polacco ha vissuto per un periodo a Roma, probabilmente tra il secondo dopoguerra e gli anni Cinquanta, a giudicare dalla foggia degli abiti e dalle capigliature.
L’album conserva poi altre cartoline che raffigurano l’Abbazia di Montecassino, prima e dopo la sua distruzione, il cimitero militare polacco ed il monumento della quinta divisione polacca nella stessa città. Sembra che fosse anche legato all’Abruzzo: infatti nell’album inserisce una cartolina di Campo di Giove, trascrive dall’Enciclopedia Italiana Treccani un paragrafo che descrive la Maiella. Altre foto lo ritraggono con i suoi confratelli in montagna e un gruppo di ragazzi che sembrerebbero collegiali anche se non ci sono didascalie esplicative, vicino però trascrive una canzone abruzzese in dialetto. Seguono poi altre cartoline: della Valsaviore e di paesaggi di Cevo, dove la Compagnia di Gesù aveva una piccola casa, utilizzata soprattutto per le colonie estive dei collegiali e per ritiri. Nell’album si conservano anche quattro stelle alpine essiccate e forse raccolte dal gesuita proprio nei luoghi dove ha accompagnato i ragazzi.
Rintracciare un nome
Come facciamo allora a capire l’identità del proprietario dell’album?
Una delle strade che si può tentare in casi come questo è provare a rivolgersi ai colleghi dell’Archivio Storico della Provincia. Nel caso della Polonia questa è divisa, ancora oggi, in due province gesuitiche quella della Polonia Maggiore e quella della Minore. È però difficile individuare un gesuita solo dalla fotografia. Un archivista, nel corso del suo lavoro studia e ricostruisce la biografia di moltissime persone e può avere familiarità con molte di esse e riuscire facilmente a riconoscerle. Anche i lettori della rubrica sono ormai avvezzi alla fisionomia di alcuni gesuiti di cui abbiamo parlato spesso come i fratelli Giuseppe e Carlo Massaruti o Rocci. Nel nostro archivio però ci sono circa diecimila fascicoli personali per altrettanti gesuiti. Quindi prima di disturbare i colleghi chiedendo “Sai per caso chi è questo gesuita?” è meglio cercare di raccogliere tutti i dati possibili anche per aiutarli in questa ricerca, stringendo il campo il più possibile. Maggiori dati si forniscono all’archivista e più alta è la probabilità che la ricerca vada a buon fine. Soprattutto se la richiesta arriva proprio da una collega.
Partiamo dunque dai pochi ma utili dati che lo stesso album ci restituisce. Il gesuita viene fotografato bambino, nel giorno della Prima Comunione, avvenuta nel 1929, quindi ipotizziamo che all’epoca potesse avere tra i sette e gli undici anni stando all’età in cui si amministrava il Sacramento e a quella dimostrata dal bambino in foto. Ancor più utile è però la didascalia che accompagna la foto scattata poco prima di entrare in noviziato, nel luglio 1936. Sappiamo quindi che il gesuita è entrato in noviziato nel 1936, dal mese di luglio in poi. Purtroppo è difficile capire a che età più o meno possa essere entrato: infatti nella foto ci sono un ragazzino di circa quindici anni ed un ragazzo più grande e la didascalia dice “con il fratello e la sorella”. Quindi il gesuita potrebbe essere uno dei due fratelli.
Facciamo un primo tentativo e verifichiamo quanti gesuiti sono entrati in entrambe le province della Polonia nell’estate del ’36. Non abbiamo infatti elementi per escludere una delle due Province, vanno prese in considerazione entrambe.
Non siamo molto fortunati: solo nella Polonia Maior, tra il 15 luglio e la fine dell’anno sono entrati ben 22 gesuiti, di questi 6 come coadiutori mentre dai novizi scolastici abbiamo espunto due novizi che entrano già come sacerdoti (li escludiamo perché sono troppo grandi, lo scopriamo dalla data di nascita che i cataloghi riportano per ogni gesuita della Provincia). A questo numero si devono poi aggiungere altri 12 novizi polacchi della Provincia Minor, per un totale di 34 persone. Poiché non sappiamo chi dei due fratelli della foto sia il nostro gesuita, non possiamo ipotizzare l’età e quindi consideriamo sia coloro che negli ultimi mesi del ’36 avevano appena quindici anni, sia coloro che ne hanno qualcuno in più. Dalla nostra lista di novizi possiamo toglierne solo uno che al momento dell’ingresso aveva 37 anni quindi troppo grande per essere un bambino di circa 7 – 11 anni nel 1929.
La lista di persone ammonta a 33 individui ma possiamo incrociare questi dati con due momenti della vita del gesuita ritratto: sappiamo che è stato imprigionato in Germania, sicuramente nei mesi di guerra del 1945, forse anche l’anno precedente e che poi è stato a Roma nel dopoguerra, non sappiamo però di preciso in quali anni.
Abbiamo poi un ulteriore altro dato che l’album ci fornisce: i nomi di alcuni gesuiti imprigionati a Dacahu e ritratti in una fotografia scattata proprio al campo di concentramento. Provando a verificare dove siano questi novizi nel 1945 scopriamo che i cataloghi della Polonia Maior e Minor pubblicati durante la seconda quella mondiale non sono completi, per la prima non sono stati pubblicati cataloghi tra 1940 e 1945, riprendono dal 1946, mentre la seconda ha un catalogo complessivo per il periodo 1940 – 1945. La verifica dei cataloghi non ci dice molto se non confermare che molti gesuiti polacchi fossero effettivamente prigionieri in Germania, anche a Dacahu. Infatti dei 42 gesuiti polacchi fotografati a Dachau, 18 sono menzionati tra i prigionieri nel Catalogo della Polonia Minor ma questo non aggiunge molto alla nostra ricerca. Inoltre non sappiamo con certezza se il nostro gesuita sia o meno nella foto.
Ricapitolando: stiamo cercando un uomo polacco che ha fatto la comunione nel 1929, che è entrato in noviziato tra luglio e dicembre del 1936, che è stato imprigionato a Dachau sicuramente nel 1945 e forse anche prima, che poi ha vissuto a Roma e che probabilmente ha avuto contatti con quella provincia Veneto – Milanese vista la sua presenza a Cevo ma soprattutto considerando la presenza di questo album all’interno del fondo della Provincia Veneto – Milanese.
Facciamo allora un nuovo tentativo: ci spostiamo più avanti nel tempo, di pochi anni, e verifichiamo quanti e quali gesuiti polacchi siano presenti nella provincia romana, in particolare a Roma nell’arco cronologico che và dal 1949 al 1959. Te troviamo molti.
Una svolta nella ricerca
Ragionando per insiemi e incrociando i dati scopriamo che tra i gesuiti polacchi presenti nella Provincia Romana solo uno risponde al nostro identikit: p. Janiki Stanislo, nato il 10 ottobre 1919, quindi avrebbe avuto effettivamente 10 anni al momento della Prima Comunione, entrato in noviziato a Kalisz nella Provincia della Polonia Major il 15 luglio 1936, dunque poco dopo la foto scattata a luglio con i fratelli e vissuto a Roma per decenni, fino alla sua morte avvenuta in città il 26 febbraio 1994. Facendo una ricerca nei fascicoli personali della Provincia d’Italia troviamo quello di questo gesuita. Non contiene le carte a partire dal suo ingresso in noviziato perché trattandosi di un gesuita di un’altra provincia mai trascritto alla Romana o a quella d’Italia, i suoi documenti ufficiali sono rimasti nella Provincia d’origine e quindi nell’archivio storico in Polonia. Nel nostro fascicolo di p. Janiki non ci sono fotografie purtroppo, sarebbero state molto utili a riprova della sua identità. Però c’è una nota sulla scheda anagrafica che riferisce la data in cui è arrivato a Roma, il 15 luglio 1945. Nel fascicolo ci sono pochi documenti: alcune lettere dei suoi superiori e del Provinciale ma da queste scopriamo che è vissuto al Massimo, come dimostrano anche i cataloghi, accompagnando spesso i ragazzi durante i viaggi, uno di questi a Vico di Fassa, in montagna. Facendo un’ulteriore verifica nella rivista “Gesuiti della Provincia d’Italia” troviamo quella che sembra essere una prova del nove definitiva: il necrologio del gesuita, pubblicato nel n. 2 del 1995 alle pagine 61 e 62. Lo scrive un suo confratello, p. Giuseppe Giannella, che racconta la vita di p. Janicki sottolineando il suo arresto da parte dei tedeschi a Lublin il 23 novembre 1939, l’internamento in diversi campi di concentramento, tra cui quello di Dachau dove è rimasto dal 1940 fino alla liberazione del campo avvenuta il 29 aprile 1945. Il gesuita polacco è poi venuto a Roma a metà luglio e qui è rimasto con diversi apostolati.
P. Giannella aggiunge che il gesuita non ha mai voluto parlare dell’esperienza nei campi di concentramento.
Dare un nome ad un volto
Una volta formulata l’ipotesi, che in questo caso sembra portare all’identificazione certa del gesuita, non resta che contattare i colleghi degli archivi storici della Compagnia di Gesù in Polonia per averne conferma. Quello che ci manca è infatti una fotografia di p. Janicki da giovane da confrontare con il gesuita polacco ritratto nell’album anche se ogni dato coincide.
Abbiamo mandato una mail all’archivista dell’Archivio Storico della Provincia della Polonia Major, di cui era membro il gesuita, e dopo pochi minuti è arrivata la risposta dalla collega polacca, la dottoressa Katarzyna Trzcińska.
Nel suo archivio, a Varsavia, non si conserva la foto da giovane del gesuita ma una da adulto, che raffigura lo stesso uomo ritratto in una di quelle conservate nell’album, è una delle ultime scattate e conservate: è lui, è p. Janicki Stanislaw. Abbiamo dunque restituito l’identità al volto del gesuita polacco. La collega ci racconta che di p. Janicki non resta molto in archivio e in modo particolare non ci sono carte e documenti risalenti al periodo della seconda guerra mondiale.
L’album conserva quindi le uniche testimonianze del gesuita durante il periodo della prigionia, periodo di cui non ha mai voluto parlare.
Resta solo un ultimo quesito: perché l’album personale di p. Janicki è finito nella serie fotografica della Provincia Veneto – Milanese? Difficile poter trovare una risposta, possiamo fare solo qualche ipotesi. È possibile che il gesuita abbia dimenticato l’album personale a Cevo o in una delle residenze del Nord Italia durante una gita con gli studenti. Forse lo portava con sé, comunque ne aveva buona cura poiché lo ha aggiornato con le foto, man mano che gli anni passavano. O forse lo ha lasciato a qualche suo confratello in dono. Certo era per lui un modo per ricordare: la famiglia, i confratelli, i ragazzi delle scuole ma anche una parte molto drammatica della sua vita di cui non parlava ma per la quale ha serbato alcune testimonianze.
Questa è una domanda a cui solo il gesuita potrebbe fornire risposta, ma dopo avergli restituito un nome, possiamo anche lasciare che il mistero sulla collocazione dell’album resti irrisolto.
Eccoci dunqque alla conclusione della puntata di oggi, uno dei tanti possibili esempi di come si possa identificare un gesuita a partire dalle sue foto e dalle poche informazioni che spesso queste ci forniscono.
Maria Macchi