Gesuiti nel mirino: quando l’abito…mette a rischio il monaco
Perseguitati, insultati, malmenati, processati e uccisi: sono diversi gli episodi, nella storia, che hanno visto i gesuiti subire ripercussioni anche mortali; in alcuni casi si tratta di episodi molto noti, in altri di vicende meno conosciute ma meritevoli di essere approfondite.
Nella nostra rubrica abbiamo ricordato l’episodio della Pasqua del 1858, durante il quale – per una falsa notizia – i gesuiti furono accusati del furto di un’icona sacra, trascinati in pubblica piazza, minacciati e malmenati.
Ci sono moltissimi episodi simili, spesso legati a particolari eventi storici.
Con la Soppressione della Compagnia di Gesù nel 1773, ad esempio, i gesuiti furono dispersi, in molti luoghi del mondo furono perseguitati, costretti talvolta ad abbandonare l’abito di religioso e vivere da laici.
Durante il processo di unificazione nazionale in più occasioni i padri furono costretti ad abbandonare le proprie residenze e collegi, temporaneamente durante gli anni trenta e nel 1848, definitivamente dopo il 1860 con la nascita del Regno d’Italia e l’incameramento dei beni dell’asse ecclesiastico.
Il diario di casa di Loreto, ad esempio, ci racconta in alcuni drammatici passaggi, l’ingresso delle truppe piemontesi in città, il loro avvicinarsi al collegio, le febbrili attività dei padri impegnati a far tornare a casa i convittori rimasti e consegnare gli oggetti di valore a persone di fiducia. Il collegio sarebbe stato occupato dalle truppe, trasformato in ospedale militare.
Nelle missioni numerosi gesuiti furono costretti ad abiurare la fede, spesso persero la vita perché perseguitati dai governi locali, così come durante le guerre mondiali ed anche in tempi più recenti.
Soltanto per citare alcuni esempi, ricordiamo la vicenda di p. Fausti e recentemente quella di p. Dall’Oglio.
Vestire l’abito dunque, non metteva al riparo i religiosi da possibili rischi, anche qui, su suolo italiano.
Oggi in particolare ricordiamo il rapporto – inizialmente contrastante – che caratterizzò il ritorno dei gesuiti a Brescia e la loro volontà di aprire un collegio in città, ostacolata più volte dal governo e da alcuni cittadini.
Il collegio fu aperto la prima volta alla fine degli anni Trenta ma chiuso nel 1848; un successivo tentativo fu reso possibile da un’eredità a beneficio dei gesuiti di Bergamo, il collegio fu riaperto nel 1854 ma, ormai a ridosso della nascita del Regno d’Italia, visse per pochi anni, chiudendo nel corso del 1859.
Soltanto nel 1884 grazie al Giuseppe Tovini, venne riaperto il Collegio di Brescia, noto come l’Arici, che questa volta avrebbe avuto una lunga vita, così lunga che esiste ancora oggi come scuola paritaria.
Il Collegio Arici fu gestito dalla Compagnia di Gesù fino al 1955, anno in cui la gestione e la proprietà passarono alla diocesi, che ancora amministra l’istituto.
Dopo il 1848, quando i gesuiti erano molto attivi, insieme al Vescovo, ai benefattori e alle magistrature cittadini, per cercare di ripristinare il Collegio, si verificarono alcuni episodi che misero a rischio non solo la permanenza dei padri in città, ma anche la loro vita.
Come ricordano le fonti in archivio, dopo che in città si era venuti a conoscenza del lascito a beneficio dei gesuiti, ci furono “strano e dolorose vociferazioni” e arrivò anche una lettera anonima, destinata ad uno dei benefattori della Compagnia a Brescia.
La vedete nella foto a corredo di questa rubrica, un anonimo scrivente si rivolge così:
“La città di Brescia si congratula della felice concessione ottenuta per i Gesuiti birbanti, come un impostore sei tu; tutti ti conoscono per un cattivo nobile, volesse Iddio, che ti avessero a conoscere anche i Superiori per quel briccone in carozza che sei. Inferno ti attende.
La lettera, che già è caratterizzata da un tono piuttosto lugubre, termina con “sei sotto controllo”.
Sicuramente i padri non hanno dato troppo peso alla lettera, ma un episodio successivo deve averli spaventati non poco.
Altri documenti ci raccontano che una notte, da una mano rimasta ignota, è stata pizzata una bomba sotto il collegio
“Lo scoppio della bomba fece cadere spezzati i cristalli delle finestre di tutta la contrada e […] spavento nella città. L’Arciduca Ranieri Niceri, che trovasi a Brescia, mandò dire ai PP. che partissero da Brescia e si salvassero andando a Innsbruck”.
I gesuiti riuscirono a non farsi intimorire, il collegio, una volta riaperto nel 1854 e successivamente nel 1884 ebbe un numero sempre crescente di ragazzi iscritti, riuscendo consolidare un legame positivo con la città di Brescia, esso esiste ancora oggi, non più gestito dalla Compagnia di Gesù ma dalla diocesi.
Maria Macchi