Fotografe e fotografi nelle carte d’archivio

Si può contribuire alla storia della fotografia attraverso le carte di un ordine religioso? Chi si occupa di fotografia e non studia la storia della Chiesa potrebbe trovare molte fonti interessanti nel nostro archivio. Oggi dedichiamo la puntata proprio a questa professione che inizia a lasciare traccia nelle carte d’archivio solo negli ultimi decenni dell’Ottocento.
La storia della fotografia
La prima fotografia nella storia è stata scattata nel 1826 e dopo circa dodici anni è stato fotografato il primo essere umano. Scienziati, studiosi e pittori fin dall’antichità conoscevano e studiavano il ruolo della luce nella cosiddetta camera oscura. La fotografia conobbe un immediato successo e un considerevole sviluppo tecnologico, nel giro di pochi decenni, che consentì la diminuzione dei tempi di posa, inizialmente lunghissimi, la maggior disponibilità di materiali idonei per la riproduzione fotografica. Presto divenne accessibile a molte persone che così potevano farsi fotografare o ritrarre insieme alla propria famiglia, almeno nelle occasioni più importanti della vita.
In pochi casi però l’intero archivio fotografico di un singolo professionista ci è giunto per intero, ospitato nell’archivio storico della famiglia o dell’ente che ne ha raccolto l’eredità come per i fratelli Alinari, oppure in istituti a cui è stato donato. È questo il caso delle numerose collezioni oggi presenti nell’Istituto per la Grafica.
Nella maggior parte dei casi gli archivi dei fotografi sono andati dispersi, si possono però ricostruire rintracciando le foto realizzate per i clienti. Per questo è molto importante, nel corso del riordino di una serie fotografica, segnalare nell’inventario i nominativi dei fotografi. Ecco perché anche il nostro archivio, come tanti archivi di ordini religiosi, può contribuire a scrivere una parte della storia della fotografia e alla storia professionale di molti fotografi.
Nel corso del riordino dei fondi infatti sono state rinvenute migliaia di fotografie. Spesso si conservano nel fascicolo personale di ciascun gesuita, oppure tra le proprie carte personali per chi avesse molto materiale nella propria stanza al momento del decesso.
Ci sono poi diverse serie fotografiche che raccolgono album e foto sciolte di gesuiti, residenze, collegi: nel fondo della Provincia Napoletana, in quello della Veneto – Milanese e della Torinese, in quelli dei collegi.
Fotografi attivi a Roma
Abbiamo svolto una ricerca nel registro della congregazione della Purificazione. Tra gli iscritti vi erano pittori e tipografi ma, curiosamente, nessun fotografo almeno fino agli anni Trenta del Novecento quando i compilatori hanno smesso di indicare le professioni dei nuovi congregati.
Nel corso del riordino della serie fotografica dell’Istituto Massimiliano Massimo, al momento una delle più grandi presenti nel nostro archivio, sono emersi i nominativi di decine di professionisti della fotografia. Abbiamo provveduto a segnalare nell’inventario tutti i nomi.
Molte delle fotografie non sono state realizzate da fotografi romani, troviamo infatti professionisti di Modena, San Benedetto del Tronto, Pistoia, Savona, Torino, Firenze, Alessandria, Genova.
Ecco alcuni dei nomi di tutti i fotografi che hanno ritratto gli alunni del Massimo nelle foto singole e di gruppo: Guidotti, Schemboche, Sciamanna, U. Candeli, A. Rossi, G. Moretti, Cheselon & Bollini, Camillo Toncker, P. Fellini, N. Baldi & C., G. Fazzi, G. Cardilli, Romolo Lazzari, G. B. Berra, Cavalier F. Strizzi, Cavalier H. Le Lieure, Francesco Reale, G. Felici, P. Meucci, Carlo Torletti, Ernesto Rossi.
Le fotografe
Non ci sono solo fotografi. Tra i numerosi professionisti infatti c’è anche il nome di alcune fotografe: le sorelle Cafaratti di Roma, i “coniugi Cané” che fanno pensare alla collaborazione di moglie e marito nella stessa professione, Angelina Cané che forse si firma con il suo nome dopo esser diventata vedova ma potrebbe anche trattarsi di un caso di omonimia – anche lei attiva a Roma – ed Emily Lardini per la quale non è indicata la città dove lavorava.
Farsi pubblicità con le proprie foto
In molti casi è il retro della fotografia ad essere quasi più interessante dell’immagine ritratta. Infatti la maggior parte dei fotografi, tra fine Ottocento ed primi anni del Novecento, utilizzava il retro della fotografia per farsi pubblicità.
Non era solo presente il nome dello studio fotografico, ma anche l’indirizzo, eventuali specializzazioni tecniche o servizi messi a disposizione dei clienti: la disponibilità delle immagini in tempi brevi, le foto scattate appositamente per bambini.
Le informazioni fornite dal retro erano di varia natura. In alcuni ad esempio, si ricorda ai clienti che il fotografo è dotato di ingresso carrozzabile, una comodità visto che all’epoca ci si spostava in carrozza, un mezzo piuttosto ingombrante da lasciare in attesa per strada e il “parcheggio” avrebbe garantito ristoro ai cavalli evitando al cocchiere di fare avanti e indietro. In altri casi il retro pubblicizza la varietà di sfondi a disposizione del fotografo.
In questa piccola galleria vi mostriamo il retro di alcune fotografie particolarmente curato per la pubblicità degli studi fotografici.
In questi studi professionali infatti erano presenti alcuni mobili, solitamente sgabelli, sedie e inginocchiatoi, su cui i collegiali appoggiavano il cappello o tenevano una mano. Gli sfondi permettevano di simulare l’ambientazione della foto in stanze nobiliari, con tendaggi e pesanti tavoli o addirittura all’aperto, simulando un giardino.
I fotografi nel Fondo Garrucci
La serie fotografica dell’Istituto Massimo non è l’unico fondo in cui si trovino tracce dei professionisti della fotografia. Tra le carte personali di p. Raffaele Garrucci, numismatico, storico dell’arte, archeologo, è possibile trovare anche il nominativo di molti fotografi.
Il gesuita infatti si avvaleva di molti fotografi per svolgere il proprio lavoro: gli erano indispensabili per scattare le fotografie ai reperti. Lo seguivano negli scavi archeologici e gli facevano recapitare le fotografie una volta scattate. Grazie a queste lo studioso poteva scrivere i suoi saggi, parlarne con i suoi corrispondenti cui spesso mandava copie delle fotografie.
Troviamo molti nominativi sia nei due diari personali che il gesuita ha tenuto tra 1876 e 1885 e anche nel fascicolo che oggi conserva i biglietti da visita, di docenti, studiosi, pittori e fotografi, trovati tra le carte del gesuita.