Che lingue parlano i documenti dell’archivio?
I documenti conservati nel nostro archivio non parlano tutti la stessa lingua, ma soprattutto in misura minore l’italiano. In quali e quante lingue parlano quindi le fonti archivistiche?
La documentazione è prodotta in un determinato contesto storico e geografico e da essi dipendono anche le modalità di scrittura e redazione della fonte, le sue caratteristiche intrinseche ed estrinseche.
Per questo motivo non possiamo aspettarci che le fonti parlino esclusivamente italiano, non quello che conosciamo e parliamo noi.
La maggior parte delle fonti archivistiche ecclesiastiche, quindi anche quelle della Compagnia, è stata scritta in latino, soprattutto i documenti ufficiali e, a seconda delle aree geografiche e delle epoche, anche quelli personali come i carteggi.
Il latino in Occidente, e anche nelle missioni cattoliche, era la lingua più utilizzata e comprensibile da tutti, un po’ come l’inglese di oggi.
Non si tratta dell’articolato latino di Cicerone o di Seneca, poiché nel corso dei secoli molti costrutti linguistici vennero usati sempre meno, a vantaggio di strutture grammaticali più semplici, come per il latino medievale.
Per molti carteggi personali, diari di casa o altre fonti troviamo anche l’italiano, un italiano con caratteristiche grammaticali diverse dalle nostre, un lessico più desueto da quello odierno.
Ad esempio, nelle fonti è normale trovare la dicitura “lo spedale” invece di l’ospedale, o “et” per “e” o termini dialettali soprattutto per indicare il cibo.
L’uso della lingua vernacolare, progressivamente in sostituzione del latino, non è avvenuto per tutte le storiche Province della Compagnia di Gesù nello stesso periodo.
Nei documenti delle due province del Nord, ad esempio, è più frequente trovare documenti ufficiali scritti in italiano, mentre a Roma, l’ultima città dello Stato Pontificio e sede della Curia Romana, è più forte la tradizione ecclesiastica e l’uso del latino resisterà più a lungo, anche ben oltre il Concilio Vaticano II che prescriverà l’utilizzo della lingua italiana in luogo del latino per le messe e la vita quotidiana dei religiosi. Le historie domus di alcune comunità romane continuano ad essere redatte in latino anche negli anni Ottanta.
I nostri documenti però non si dividono soltanto tra parlanti latino e parlanti italiano, anche se ovviamente questi sono i due macro gruppi più grandi.
Ci sono diversi documenti scritti in albanese, spagnolo e portoghese, in francese e inglese da corrispondenti stranieri dei gesuiti e, soprattutto in occasione della morte dei missionari, il necrologio e la notizia erano comunicati nella lingua locale.
C’è anche un numero più ridotto di documenti che parla il greco antico e, almeno in un caso, il greco moderno. Gli allievi dei collegi ed i novizi studiavano greco, oltre al latino e alle altre materie, e dovevano spesso produrre piccoli componimenti poetici per dar prova di quanto avessero appreso. Alcuni di questi componimenti sono sopravvissuti e giunti fino a noi.
Per il documento composto in greco moderno, rimandiamo all’approfondimento specifico che gli avevamo dedicato.
Nella foto poesie e dediche in lingua albanese dagli studenti del Collegio di Scutari per il loro Professore p. Giuseppe Marini in occasione dei cinquant’anni di vita religiosa, e alcuni appunti di un’espressione matematica.
Nel nostro archivio, ci sono anche alcuni documenti in lingua ebraica, anche in questo caso si tratta quasi sempre di composizioni scolastiche.
Alcuni padri si sono dedicati, nei momenti ricreativi, alla composizione di sonetti e versi in dialetto, quindi è possibile apprezzare alcune inflessioni venete, o napoletane in questi particolari documenti.
Maria Macchi