Passa al contenuto principale
Gesuiti
Archivio Storico
Provincia Euro-Mediterranea della Compagnia di Gesù
News
Archivio Storico Curiosità e notizie L’alluvione nel Polesine
Curiosità

L’alluvione nel Polesine

Foto di un mezzo meccanico al lavoro per rimuovere il fango dell'alluvione nel Polesine - Archivio Storico - Gesuiti, Provincia Euro-Mediterranea

Un’alluvione è in grado di spazzare via tutto: interi paesi, vite umane, ricordi e case stravolgendo il territorio. Come può un archivio raccontare un’alluvione?

Se pensiamo alle alluvioni italiane, quella rimasta più impressa nell’immaginario collettivo è quella di Firenze, avvenuta il 4 novembre 1966. Sono state però davvero numerose le inondazioni precedenti e successive a quella ricordata per gli “Angeli del fango”.

Nel novembre 1951, a causa di intense precipitazioni che caddero per giorni, soprattutto tra il 12 e il 14, la piena del fiume Po’ interessò la zona dell’alto, medio e basso Polesine. Travolse diverse città e territori agricoli, causando centinaia di morti e moltissimi sfollati. Era l’alluvione del Polesine, un avvenimento che ha segnato la storia di quei luoghi.

L’evento è ricordato anche nella cinematografia. Il film “Il ritorno di Don Camillo”, del 1953, termina proprio con l’alluvione del paese di Brescello dove è ambientata la storia. Alcune delle riprese del fiume ingrossato e dei campi della Bassa allagati sono state effettuate due anni prima, nel 1951, proprio durante l’alluvione del Polesine che interessò anche i luoghi dove vivevano i personaggi creati da Guareschi.

Le fonti

Per poter approfondire meglio questo evento drammatico e le sue conseguenze si possono utilizzare alcune fonti conservate nel nostro Archivio Storico.

Nel fondo della Provincia Veneto – Milanese, infatti, si trovano alcuni fascicoli conservati nei faldoni di Adria e Albinea, due delle numerose città e borghi interessati dall’alluvione.

Le nostre carte non riguardano direttamente l’evento drammatico in sé ma le sue conseguenze e cosa è avvenuto dopo: il lavoro di mesi e anni per poter ricostruire le città, mettere in sicurezza i territori, ricostituire il tessuto sociale.

Infatti in seguito al dramma del Polesine la Compagnia di Gesù fu tra gli enti e le istituzioni che si mossero per la ricostruzione.

Dopo l’alluvione

Le attività di soccorso alla popolazione alluvionata iniziarono subito. Il governo italiano, che aveva ricevuto anche da altre nazioni molte donazioni in favore della popolazione alluvionata, aveva affidato inizialmente l’incarico della ricostruzione all’Ente Nazionale per la distribuzione dei soccorsi in Italia (ENDSI).

In seguito ad un accordo i primi edifici realizzati furono ceduti alla POA, la Pontificia Opera per l’Assistenza del Vaticano. Coordinati da Monsignor Baldelli, i parroci, i vescovi delle diocesi più colpite ed i gesuiti iniziarono un grande progetto che prevedeva non solo l’ultimazione degli immobili ma anche la messa a punto di una rete di centri sociali, distribuita su tutto il territorio del polesine.

Nell’immagine vediamo la capillarità che la Poa fu in grado di raggiungere attraverso le chiese, con o senza alloggio per il parroco, gli asili, i centri sociali ed i campi sportivi.

Mappa dei centri sociali inaugurati nel Polesine dopo l'alluvione - Archivio Storico - Gesuiti, Provincia Euro-Mediterranea

Nel nostro Archivio si conservano i verbali di decine di riunioni indette dalla Poa per il coordinamento dei lavori di ricostituzione, oltre a documenti che testimoniano le iniziative intraprese all’indomani della tragedia, bilanci, progetti e relazioni. Gli edifici furono terminati già nel 1954, mentre molti furono ingranditi. Ogni mese venivano inaugurati nuovi centri e parrocchie, fino al termine del progetto a fine anni Cinquanta, quando però la Compagnia di Gesù restò per alcuni anni portando avanti l’apostolato.

Non solo la ricostruzione

Fu chiaro che non era sufficiente ricostruire infrastrutture e abitazioni ma bisognasse animare anche dal punto di vista spirituale e apostolico il territorio, già poco assistito prima della tragedia.

Le riunioni, fin da subito, non persero di vista le necessità pratiche: vengono ordinati materassi e guanciali per gli asili, comodini, reti e armadi. Ci fu però una grande attenzione proprio all’aspetto della socialità prevedendo: la costruzione di bar, la fornitura per ben otto squadre di calcio, le licenze per il cinema, l’acquisto di un apparecchio tv (siamo proprio agli albori della televisione).

Mons. Baldelli inoltre si recava spesso in visita nei luoghi alluvionati, per supervisionare i lavori, partecipare alle riunioni, fare il punto della situazione e riferire le novità da Roma.

La Poa si avvaleva di diverse strutture organizzative: il comitato inter diocesano composto dai vescovi di Adria, Chioggia e dai loro delegati, il Presidente della Poa, Monsignor Baldelli, e p. Vito Lorenzi, gesuita, delegato della POA.

Era poi attiva una giunta esecutiva, di cui faceva parte anche una donna, Velia Marzullo, incaricata per l’Assistenza Sociale. Questi organi erano affiancati da una giunta inter diocesana di parroci delle due diocesi, quella di Adria e di Chioggia. 

Infine erano state istituite una serie di consulte tecniche inter diocesane che raccontano molto delle finalità apostoliche, non solo la ricostruzione degli edifici ma anche del tessuto sociale vero e proprio. Esisteva infatti la consulta del cinema, quella del teatro, per l’assistenza sanitaria, per l’istruzione e lo sport.

Il nuovo tessuto sociale

Il dopo alluvione fu dunque l’occasione non solo per la ricostruzione delle abitazioni ma anche per dotare il territorio di strutture sociali e garantire anche assistenza sanitaria che avrebbero migliorato notevolmente la vita di lavoratrici e lavoratori.

Vengono così progettati e realizzati: asili, centri sociali, anche con l’ambizione di sottrarre più uditorio possibile ai partiti di sinistra, in una delle pubblicazioni dedicate ai centri sociali del Polesine infatti il territorio è definito così “terre battute dal socialismo e combattute ora dall’imperversante comunismo.”

L’obiettivo non era soltanto quello di ricondurre alla chiesa cattolica famiglie e lavoratori ma anche quello di combattere l’analfabetismo che all’epoca caratterizzava il territorio agricolo del Polesine.

Nelle scuole, appena ricostruite, si organizzano i dopo scuola in modo che bambini e ragazzi abbiano un posto dove stare oltre l’orario scolastico. La Compagnia di Gesù già a Firenze da ormai quattro decenni portava avanti il ricreatorio S. Giuseppe con finalità simili e negli stessi anni apriva un doposcuola anche nella vicina Conegliano.

A disposizione dei ragazzi ci sono anche dei laboratori, di falegnameria, saldatura, idraulica, meccanica e muratura, per accogliere coloro che devono imparare un mestiere. Sorse per questo scopo il centro di addestramento professionale S. Francesco, ad Adria.

Per i bambini furono previsti diversi tipi di asilo, distinti per grandezza e dotati di mensa. Molte di queste strutture furono ingrandite dopo pochi anni, tanto era l’afflusso di ragazzi e bambini iscritti dalle famiglie.

L’assistenza all’infanzia inoltre si declinava non solo nell’apertura di asili ma anche nell’organizzazione delle colonie che rappresentavano per molte famiglie l’unica possibilità di far trascorre un periodo al mare, o in montagna ai figli. 

Particolare attenzione fu data alle strutture per la socialità, come dimostrano le riunioni incentrate sulla costruzione e allestimenti di teatri e cinema. Temi all’ordine del giorno riguardavano: i tendaggi per le sale ed i palcoscenici, poltroncine e proiettori per il cinema. 

L’attenzione all’aspetto ricreativo prende corpo non solo nella costruzione di teatri, cinema e delle “filarmoniche” ma anche nei bar, ritenuti punto d’incontro e di socialità per il territorio.

Inoltre vengono ultimati e attrezzati dei campi sportivi per praticare diversi sport per bambini e adulti.

In filigrana si si riconosce il carisma della Compagnia che ha da sempre individuato nel teatro uno strumento pedagogico. Nei collegi della Compagnia era sempre presente un teatro dove i ragazzi potessero mettere in scena molti spettacoli durante l’anno scolastico.

Anche nel Polesine i ragazzini si cimentano sul palcoscenico, come testimoniano alcune foto nei faldoni.

P. Francesco Salto

Uno dei gesuiti più attivi fu p. Francesco Salto. Da alcuni anni svolgeva il suo apostolato non lontano da quei territori. Il suo necrologio pubblicato sulla rivista “Notizie della Provincia Vento – Milanese”, ricorda infatti che il gesuita raggiungeva le risaie, con ogni clima possibile, per confessare le lavoratrici ed i lavoratori e garantire loro la messa e l’Eucarestia.

Dopo l’alluvione è tra coloro che cercano di aiutare la popolazione, con iniziative personali: assicurava l’arrivo di medicinali, cercava di dare lavoro a uomini e donne, si interessa in modo particolare proprio a lavoratori e operai e alle loro condizioni di vita. 

Anche il gesuita intuisce che non è la semplice distribuzione di cibo o oggetti a poter risollevare le condizioni di vita della popolazione. Leggiamo da una lettera che spedisce ad una delle assistenti sociali:

Ho ricevuto l’assegno […] Voglio spenderlo in quella mia iniziativa geniale o pazzoide di comperare barchette da pesca da imprestare ai più poveri. […] La Provvidenza mi ha fatto trovare due ottimi maestri del luogo i quali fanno veramente bene e sono molto ingegnosi. Dietro loro suggerimento ho comprato una morsetta e delle lime: fra poco cominceremo con i ragazzi della colonia l’esperimento di un piccolo laboratorio, in cui si costruisca qualcosa di utile: gabbiette per uccellini, scatolette per sale, e fiammiferi. Preghi che l’iniziativa riesca. Alla fine della colonia faremo l’esposizione dei lavori e premiazione. […] Ho comprato la macchina da proiezioni e le filmine Don Bosco. Facciamo le proiezioni ai bimbi della colonia.

Il racconto del suo funerale, molto partecipato da parte della popolazione, si trova in un documento spedito alle comunità della Provincia Veneto – Milanese da leggersi a tavola a beneficio di tutti i gesuiti. Purtroppo p. Salto è morto cadendo proprio nell’Adige, nello svolgimento del suo apostolato. Stava accompagnando i bambini di una delle colonie. I ragazzi del laboratorio gli costruirono una croce di ferro che fu posta sulla bara in segno di riconoscimento per quanto fatto per loro.

Oltre a p. Salto furono attivi molti gesuiti nel Polesine, tra questi il già menzionato Vito Lorenzi e padre Messori Roncaglia, nominato delegato del Triveneto dalla Poa proprio per il Polesine.

La storia dell’apostolato gesuitico nel Polesine deve ancora essere studiata, queste carte infatti sono diventata consultabili solo da pochi anni, con l’apertura del pontificato di Pio XII.