L’oratorio S. Giuseppe di Firenze – I ragazzi di via Cirillo
A Firenze in una zona, oggi, non lontana dal centro storico dove sorgono quasi esclusivamente palazzine, in molti ricordano che al posto di uno di quei caseggiati esistevano un oratorio e dei campi da calcio dove tutti i bambini ed i ragazzi di Firenze frequentavano il catechismo, giocavano, si ritrovavano quotidianamente.
L’oratorio – situato in Via Cirillo n. 2 – era la sede di una vera e propria opera fondata da P. Strickland – gesuita maltese – per poter accogliere l’infanzia fiorentina, soprattutto quella delle periferie cittadine, in un luogo adeguato, in grado di poter offrire spazi per giocare, per studiare, per esibirsi in interpretazioni teatrali. Non mancava neppure un piccolo laboratorio di falegnameria e artigianato al servizio dei ragazzi per la loro formazione e anche per costruire quanto occorresse per giochi e scenografie del teatro.
L’opera fu fondata nei primi anni del Novecento da P. Strikland, trovò la sua sede definitiva nel 1910 circa, proprio in via Cirillo n. 2. Fortemente legato alla Compagnia di Gesù, esso rimase in attività fino alla prima metà degli anni Sessanta, quando fu trasferito temporaneamente nella residenza dei gesuiti a Firenze e poi chiuso.
Nel nostro archivio storico si conservano carte relative alla fondazione e all’amministrazione dell’oratorio e ampia documentazione fotografica sui locali ma soprattutto raffigurante i gruppi di ragazzini che lì giocavano, si riunivano per pregare e frequentare le lezioni di catechismo per più di mezzo secolo. Numerose le foto di processioni, congregazioni, gruppi di preghiera.
L’oratorio ha visto crescere generazioni di ragazzi dai primi del Novecento fino agli anni ‘60, quando per diversi motivi la sede fu spostata per un anno presso la residenza fiorentina della Compagnia e quindi chiuso definitivamente.
Tra queste foto di ragazzi che corrono dietro ad un pallone ci sono le memorie di generazioni, che ancora oggi ricordano questa parte della loro infanzia, come testimoniano le richieste pervenute all’archivio storico.
Maria Macchi