La Compagnia e l’Unità di Italia
L’Unità d’Italia rappresenta per la Nazione il punto d’arrivo del lungo processo risorgimentale e allo stesso tempo l’inizio della sua storia come Paese unito. Questo importante evento ha però avuto conseguenze diverse per popolazioni, enti e istituzioni, soprattutto per gli Ordini religiosi. Vediamo oggi in che modo abbia inciso l’Unità d’Italia sulla vita della Compagnia di Gesù.
Con l’arrivo in città delle truppe garibaldine, nella risalita della penisola, i gesuiti come tutti gli altri ordini religiosi furono costretti a lasciare le proprie residenze, assistendo spesso ad episodi di vandalismo a danno di oggetti e del patrimonio archivistico.
Il Gesù Nuovo di Napoli, ad esempio, fu interamente occupato e parte dell’archivio storico disperso.
A Livorno, le ultime concitate pagine del diario di casa del collegio raccontano l’arrivo delle truppe piemontesi in città e il frenetico lavoro dei padri impegnati con i convittori da rimandare alle famiglie e soprattutto nella scelta degli oggetti di culto e beni da salvare affidandoli a protettori e benefattori.
I beni degli Ordini religiosi e della Chiesa furono in gran parte incamerati immediatamente dal Regno d’Italia, quanto rimasto fu oggetto di leggi mirate alla liquidazione dell’asse ecclesiastico.
Questo vuol dire che la Compagnia di Gesù perse la quasi totalità delle residenze, dei collegi, delle case per esercizi spirituali, tutti immobili divenuti beni dello Stato, che poteva garantire i primari servizi ai cittadini – scuola, assistenza ospedaliera e giudiziaria – potendo contare su un’infrastruttura già pronta e funzionante. Spesso i collegi furono convertiti in licei nel giro di pochi anni, avendo già a disposizione mobilio ed una ricca biblioteca, come nel caso del Collegio Romano poi Istituto Visconti, il più antico liceo di Roma capitale dello Stato. Altri collegi invece offrivano spazi adeguati per i tribunali, biblioteche civiche, carceri, ospedali.
Non era la prima volta che la Compagnia di Gesù aveva perso tutto, era già accaduto nel 1773 con la soppressione dell’Ordine, ma era riuscita, con la ricostituzione, a riottenere una parte di quanto perso, costruendo altre chiese e immobili.
La Compagnia subì dunque un grave danno economico con l’Unità d’Italia ma a differenza dell’ultima volta, sopravvisse: né lo Stato Italiano né gli altri nuovi stati indipendenti avevano dichiarato la Compagnia illegale o soppressa. La vita dei gesuiti poteva dunque proseguire ma con pochissimi mezzi.
Le residenze, nei cataloghi compresi tra 1861 e 1880 circa, sono infatti definite “disperse”, i gesuiti erano ancora considerati membri di comunità, ma non avevano una sede precisa, spesso erano ospitati da altri ordini o in sistemazioni di fortuna.
Il problema più grande era relativo ai noviziati: tutte le sedi degli antichi e storici noviziati erano state incamerate, dunque era impossibile accogliere gli aspiranti gesuiti nelle varie province in Italia, creando così un grave vulnus per le generazioni ignaziane successive. I novizi già in noviziato, al momento dell’Unità d’Italia, furono destinati all’estero e anche gli aspiranti gesuiti per diversi anni successivi dovettero lasciare l’Italia per entrare in noviziato.
L’Unità d’Italia ebbe effetti diversi per alcune Province: la Romana fu preservata per via della continuità dello Stato Pontificio, rimasto in vita anche se solo per Roma e territori limitrofi, fino al 1870.
Nel corso degli ultimi decenni dell’Ottocento la provincia Veneto – Milanese trasferì spesso il noviziato: a Epstein, Portoré, Sartinara, fino a quella di Lonigo. La situazione del noviziato e delle residenze romane dunque restò immutata per alcuni anni, rispetto al resto del territorio italiano.
Quando i gesuiti della provincia romana, dopo il 20 settembre 1870 dovettero lasciare nel giro di mesi o poche settimane le residenze, le altre province si erano in molti casi già riorganizzate o avevano trovato sedi temporanee per riaprire i noviziati.
Per questo gesuiti come p. Lorenzo Rocci e Pietro Tacchi Venturi pur essendo membri della Provincia Romana entrarono nel noviziato di Napoli, che la provincia era riuscita a riorganizzare a Villa Melecrinis, dono dell’omonima famiglia alla Compagnia di Gesù e che correda l’approfondimento di oggi.
Molti collegi e residenze nel nord e nel sud Italia furono riaperti proprio grazie a donazioni di immobili da parte di privati o a riacquisizioni fatte dalla stessa Compagnia con l’aiuto di benefattori.
La Provincia Romana, riorganizzatasi più tardi rispetto alle altre, poté riaprire il proprio noviziato solo nel 1882 nella sede di Castel Gandolfo, non lontano da Roma, ma perdendo per sempre S. Andrea al Quirinale. L’immobile esiste ancora e mantiene la struttura esterna, oggi ospita i corpi di polizia e Carabinieri per la sicurezza della Presidenza della Repubblica. I gesuiti, a metà Novecento, ne hanno ottenuta una piccola porzione che corrisponde alla residenza, non più noviziato, di S. Andrea al Quirinale.
Le province dovettero poi far fronte al problema dei collegi: non solo era necessario trovare nuove sedi, ma anche riuscire ad avere iscritti: le nuove scuole pubbliche in molti casi avevano fornito un’ulteriore offerta formativa, in un mondo scosso dal cambiamento sociale.
Le scuole dei gesuiti non furono più collegi destinati solo ai nobili o all’alta borghesia, seppur sempre a pagamento.
Inoltre le scuole cattoliche non erano riconosciute dallo Stato, quindi gli allievi dovevano essere esaminati nelle scuole statali, come privatisti o iscriversi in una scuola pubblica almeno nell’ultimo anno di corso, per poter sostenere gli esami, fino al 1929 quando entrarono in vigore i Patti Lateranensi.
Nuove sfide apostoliche si profilavano all’orizzonte dando spunti per nuovi orizzonti e frontiere come l’educazione di militari e operai.
L’Unità d’Italia fu dunque un evento periodizzante non solo per la storia nazionale, ma anche per quella della Compagnia di Gesù.
Maria Macchi