Vocazioni di cento anni fa
Chi vive la vocazione oggi è un adulto, che spesso ha terminato da anni gli studi: alcuni lasciano lavori importanti, altri avvertono la chiamata presto ma hanno bisogno di maturare la decisione per un periodo. Come parlavano della propria vocazione i gesuiti di un secolo fa?
La prima differenza rispetto ad oggi è l’età: spesso sono ragazzini, con vite molto simili a quelle dei loro coetanei adolescenti. Nella fotografia che accompagna l’approfondimento di oggi sono ritratti alcuni giovani novizi, con un’età compresa tra i 16 ed i 19 anni nel 1916, nel noviziato della Provincia Romana.
Abbiamo già approfondito la vocazione attraverso gli occhi dei genitori di un novizio sedicenne.
Ogni candidato al noviziato, ancora adesso, deve scrivere una lettera indirizzata al Provinciale nella quale spiega le motivazioni che lo inducono ad entrare nella Compagnia e più in generale perché vuole abbracciare la vita religiosa.
Le motivazioni vengono vagliate dai gesuiti che esaminano i candidati per comprendere se si tratti di una vocazione autentica o di un desiderio non pienamente maturato.
Non è raro che molti aspiranti candidati vengano invitati a pensarci di più, tornare negli anni successivi.
Ascoltiamo oggi due testimonianze di altrettanti postulanti che raccontano la propria vocazione.
Il protagonista: Arturo Taggi
Riportiamo qui il racconto che il giovane Arturo Taggi, futuro gesuita, affida ad una lettera.
Siamo nel 1926, Arturo già da due anni vive nella scuola apostolica di Strada, in Toscana, dove studiano bambini e ragazzi con una precoce vocazione, ha scelto lui di frequentarla e, quasi al termine del percorso scolastico, si rivolge al rettore della scuola.
Alla fine del marzo 1926, Arturo ha 15 anni, compiuti da nemmeno due mesi, ma racconta una storia di vocazione solida, iniziata quasi per scherzo quando ne aveva 13.
La lettera di Arturo
Reverendo Padre Rettore;
spinto dal desiderio di entrare nella Compagnia di Gesù, io Taggi Arturo, scrivo a Vostra Reverenza questa letterina, per domandarle di potere entrare, alla fine di quest’anno scolastico o al principio del futuro, nel noviziato dei gesuiti.
Risponderò brevemente, ai punti che lei mi spiegò. Prima di tutto ecco la breve storia della mia vocazione.
In un pomeriggio di marzo, andavo con un mio compagno, e, passando da discorso in discorso venni a sapere che egli desiderava entrare in religione. Io, da buon ragazzo scafato, cominciai a burlarlo, e poi per ischerzo gli dissi che ancora io mi sarei fatto religioso. Quel giorno passò così, senza che se ne parlasse più. Però la Grazia operava in me e riflettendo mutai in vere quelle parole.
Il cambiamento che avvenne in me non lo so comprendere neppure io: certo è però che un grandissimo desiderio di farmi religioso occupò la mia mente. Ma che religione prendere? [Intende ordine religioso] Il mio compagno diceva di volersi fare gesuita, io però non li conoscevo affatto, e se li avevo inteso nominarne, era in senso di disprezzo. Mi feci dare qualche spiegazione circa lo stato che il mio amico intendeva abbracciare ed a me piacque. Avrei voluto subito partire, e già mi vedevo missionario tra gl’infedeli. Feci scrivere al pp. Provinciale P. Filograssi, da un fraticello francescano che avevo appunto conosciuto in quei giorni. Però siccome tardava la risposta, mi rivolsi a S. Eccellenza Mons. Antnio Torini, vescovo del mio paese. Questo ne parò al R. P. Garattoni, il quale venuto ad Alatri il giovedì dopo Pasqua, mi fece un piccolo esame nell’episcopio in presenza del Vescovo e del suo segretario, don Gino Casini. Siccome io ero sempre in paura di non essere accettato, mi rivolsi anche ad altri sacerdoti. Più volte andai a Ferentino (dove era il p. Garattoni, perché mi facesse ammettere alla scuola apostolica, ed alcune volte ci andai piangendo, cose che mi ha ricordato in una lettera scritta a Giacchi. Finalmente dotto sette mesi d’aspettativa, la sera dell’11 ottobre 1924 potei mettere piede alla Scuola apostolica di Strada.
I motivi della scelta di diventare gesuita
Ecco i motivi che mi spingono ad abbracciare lo stato ecclesiastico. Qui non sono venuto né forzatamente, né perché mi fossi trovato male a casa; né per studiare e poi uscire. Quello che mi spinge è la gloria di Dio ed il bene delle anime, somigliare meglio a Gesù, ed ho scelto la Compagnia di Gesù perché qui si può somigliar meglio Al Nostro divin Redentore, con i tre voti e poi mi ci sento più portato.
Anche se prima di venire qui non capivo molte cose, ora però l’ho capite. Ho pregato come mi disse lei, per sapere se c’era la chiamata di Dio. Io sono rimasto molto turbato ed ho voluto che mi esaminasse il p. Spirituale, il quale mi consolò dicendomi che ho vocazione. […] E dunque di nuovo la prego, o padre, che voglia ammettermi al noviziato, se mi porterò bene. […]
Suo figlio in Cristo, Arturo Taggi.
Una vocazione tra i banchi di scuola
Arturo non è il solo a raccontare della propria vocazione.
Leggiamo un estratto della lettera che Samuele Barbalato scrisse, sempre nel 1926, al Provinciale per chiedere di essere ammesso in noviziato.
Anche Samuele, futuro gesuita, ha solo quindici anni quando scrive, ma racconta di una vocazione nata a scuola, alcuni anni prima, anche questa rivelatasi solida e duratura.
La lettera di Samuele
Reverendo Padre,
come mi aveva consigliato lei, le scrivo la storia della mia vocazione. Quanto frequentavo la quinta elementare avevo per maestro Domenico Muscillo, padre di don Giovanni Muscillo, sacerdote.
Questo portò seco a scuola Nigro [già candidato per l’ingresso in noviziato], di cui conoscendo già egli la vocazione, s’incaricava di farlo ammettere nell’ordine dei Gesuiti. Io allora, saputo che egli si faceva religioso, dedicandosi tutto a Dio, ebbi un vivo desiderio di seguirlo nella religione, dove avrei potuto, meglio che altrove, attendere al bene dell’anima mia e degli altri cristiani.
Stessi qualche giorno pensando quale decisione prendere, e finalmente decisi di farmi anch’io religioso ed attendere alla salute dell’anima mia nella religione. Ne parlai alla mamma ed essa non mi fece alcuna difficoltà, anzi ne parlò lei stessa a don Giovanni. Parlai anch’io della mia vocazione a don Giovanni ed egli mi accennò alcune cose della vita religiosa senza disapprovare il mio desiderio, ma anzi conoscendo che era veramente Iddio che mi chiamava, s’incaricò di farmi ammettere nell’ordine della Compagnia di Gesù. […] Scelgo poi l’Ordine dei Gesuiti perché in questo Ordine vi sono i voti perpetui, […] perché quest’Ordine è stato scelto da Gesù Cristo stesso a diffondere dovunque la devozione al suo Santissimo Cuore e perché è un Ordine molto divoto di Maria Santissima […].
Sono davvero numerose le lettere ed i racconti dei gesuiti che parlano della propria vocazione, non molto diverse da quelle dei gesuiti che oggi sono membri della nostra Provincia.
Maria Macchi